da Berlino
Non fu massacro ma vero e proprio genocidio quanto avvenne a Srebrenica nel luglio del 95 dove almeno ottomila bosniaci musulmani furono sterminati in pochi giorni dalle truppe serbobosniache del generale Ratko Mladic. Lo ha stabilito la Corte internazionale di giustizia dell'Aia, il piú alto tribunale dell'Onu, dopo cinque anni di indagini e dibattimenti per ricostruire una delle pagini più atroci negli eventi che seguirono alla dissoluzione della Jugoslavia.
La sentenza, la cui lettura è durata oltre due ore, attribuisce la responsabilità del genocidio ai dirigenti politici della Repubblica serbobosniaca in quanto ispiratori e mandanti, e in primo luogo al presidente Radovan Karadzic, e ai capi militari in quanto esecutori materiali. Lo Stato serbo di Belgrado, allora guidato dal dittatore Slobodan Milosevic, viene assolto dall'accusa di essere corresponsabile dello sterminio (e quindi esentato dallobbligo di pesanti indennizzi) ma la sentenza sottolinea che Belgrado ha ugualmente colpe pesantissime per non aver fatto nulla per impedire il genocidio pur avendo una forte influenza sulle truppe di Mladic e Karadizic cui forniva armi e aiuti finanziari. E in questa parte della sentenza alcuni possono anche leggere un'accusa indiretta di complicità contro Belgrado che però non viene formulata in maniera esplicita.
È la prima volta che un tribunale dell'Onu emette una condanna per genocidio: un reato la cui definizione giuridica fu inserita nella carta delle Nazioni Unite nel 48 sull'onda del trauma provocato dall'olocausto perpetrato dai nazisti. Per genocidio, dice la carta dell'Onu, si intende l'eliminazione intenzionale e sistematica di un gruppo etnico. Ed è esattamente ciò che avvenne a Srebrenica, enclave musulmana in quella parte della Bosnia-Erzogovina che è abitata prevalentemente dai serbi. Ricordiamo brevemente gli eventi. Nell'aprile del 92 la Bosnia-Erzogovina, la cui popolazione è in maggioranza musulmana e croata, seguendo l'esempio della Slovenia e della Croazia, si staccò da ciò che rimaneva della Repubblica jugoslava e si proclamò indipendente. La minoranza serba, concentrata soprattutto nel sud della regione, reagì proclamando la Repubblica serbobosniaca che si dotò di un esercito armato e finanziato da Belgrado. In pochi mesi le truppe serbobosniache estesero il loro controllo fino ad assediare Sarajevo, la capitale della Bosnia, ma la loro offensiva era prevalentemente rivolta contro le enclave musulmane per eliminare la presenza delle popolazioni non serbe.
Secondo le testimonianze raccolte dal Tribunale, tra gli ottomila sterminati a Srebrenica c'erano uomini e donne, anziani e bambini e il genocidio fu preceduto da saccheggi, stupri e torture. A Belgrado la sentenza dell'Aia è stata accolta con sollievo ma anche con imbarazzo. Sollievo perché il verdetto scagiona Belgrado dall'accusa di aver avuto un ruolo diretto nella tragedia di Srebrenica come invece sostiene la Bosnia. Ma imbarazzo per la parte in cui la Serbia è accusata di non avere fatto nulla per trattenere le truppe di Mladic, tuttora latitante grazie proprio alle protezioni di cui gode a Belgrado. «Per noi è la parte della sentenza più difficile da accettare», ha detto il presidente serbo Boris Tadic che ha proposto al Parlamento di adottare una mozione che condanni gli eccidi di Serbrenica. Un passo che nelle intenzioni di Belgrado dovrebbe favorire la riconciliazione con Sarajevo. Anche se nella capitale bosniaca si è delusi, specialmente tra le famiglie delle vittime, secondo le quali è stata «uccisa anche la giustizia».
In questo contesto lUe deciderà oggi di ridurre il contingente della missione in Bosnia-Erzegovina (Eufor) da 6.500 a 2.500 unità. Di conseguenza, secondo quanto riferito da fonti della Difesa, il contingente italiano di stanza nel Paese balcanico scenderà da 900 a 400-450 unità, con modalità e tempistica da definire.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.