Roma - Della telefonata D’Alema-Rice di ieri sera, che il Dipartimento di Stato s’è limitato nel consueto e felpato linguaggio diplomatico a definir «cordiale», invitando a «concentrarsi sul futuro», circolano diverse versioni, ormai. Chi ha parlato di muro di gelo reciproco. Chi di discussione animata, chiusa comunque con la conferma degli impegni dell’alleanza. Due fatti comunque sono chiari: il primo è che il governo Prodi - accettato intanto che le truppe italiane si dotino di nuovi mezzi per far fronte alla guerriglia talebana e ammesso che sulla sorte degli ostaggi occorre discutere in sede Nato e non ognuno per suo conto - tenta a questo punto di addossare la colpa di tutto a Karzai: «L’Italia non ha trattato con nessuno - va a dire D’Alema in tv -, ma attraverso un’associazione umanitaria ha ricevuto una lista di persone; né ha liberato nessuno, perché non erano nostri prigionieri, ma ha trasmesso la lista al governo afghano, che ha ritenuto queste persone non così pericolose da non essere liberate».
Il secondo è ancor più devastante: dopo aver tentato di sostenere che le accuse americane erano di parte, o addirittura in partenza dall’Italia, il governo Prodi ha subíto ieri un uppercut pesante, tanto da finire al tappeto in stato confusionale. Visto che in serata, con poche ma chiare parole di Sean McCormack, portavoce del Dipartimento di Stato - e dunque voce «ufficiale» di Washington -, si è fatta a pezzi la coltre di scusanti erette da Farnesina e Palazzo Chigi sulla vicenda. «Al momento dell’incontro con D’Alema, il segretario di Stato non era a conoscenza delle circostanze che hanno portato alla liberazione dell’ostaggio. Abbiamo timore di questo tipo di accordi: la preoccupazione è riferita al fatto che cinque pericolosi terroristi tornano ad imbracciare le armi. Ci aspettiamo che in futuro non vengano fatte concessioni».
La Rice non sapeva. Qualcuno potrebbe obiettare che la cosa pare strana, visto il rapporto tra Washington e Karzai, il quale è tenuto al suo posto proprio dagli americani. Ma a far scartare il dubbio ci ha pensato una clamorosa ammissione del portavoce della Farnesina, Pasquale Ferrara. Che ieri mattina, commentando le critiche partite dagli Stati Uniti, aveva rivelato che di Mastrogiacomo, tra i capi delle due diplomazie, si era sì discusso «ma solo brevemente» nel corso della cena a due, visto che in un’ora e venti si era preferito soffermarsi molto sulle «strategie comuni della missione Nato-Isaf» e che nel menù c’erano anche Iran e Medio Oriente. E non è tutto. Per contestare il «disappunto e la preoccupazione degli Usa» partiti in forma anonima da Washington, il portaparola di D’Alema è tornato a parlare di «iniziativa Usa inaspettata», ma aggiungendo un pizzico di pepe a una pietanza già esplosiva: l’ammissione che da sempre la posizione americana sugli ostaggi è contraria a qualsiasi concessione.
È una coltre di gelo che a questo punto cala sul rapporto a due Roma-Washington. A dimostrarlo, la fitta rete di telefonate in partenza dal nostro ministero degli Esteri per tutta la giornata in direzione Oltreoceano. Raccontano di sherpa messi al lavoro da D’Alema e dai suoi per capire se le accuse fatte filtrare a Washington fossero o meno da tener in conto, se McCormack avrebbe smentito o meno. E proprio nel bel mezzo dei sondaggi, il portavoce della Rice è uscito allo scoperto: non conoscevamo gli accordi tra Roma e Kabul per la liberazione del giornalista italiano. Accusa diretta e pesante contro Massimo D’Alema: si è guardato bene dal parlarne nella cena con il sottosegretario di Stato. Tesi ribadita in serata dal capo del Pentagono Robert Gates, che ha parlato di vicenda «tra il governo afghano e quello italiano».
«Nessuna rottura», ha giurato invece il titolare della Farnesina a Porta a Porta.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.