L’ammonimento ai banchieri: crescete e tagliate i costi

Marcello Zacché

da Milano

Signori banchieri, si cambia: presto lanciare un’Opa su una banca italiana, da parte di qualunque soggetto, sarà più semplice, un’operazione di mercato come le altre. Il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, alle sue prime «Considerazioni Finali» annuncia la prossima eliminazione della cosiddetta «autorizzazione preventiva», forche caudine dalle quali furono costrette a sottostare, con grave danno, sia il Bilbao sia Abn Amro nel tentativo di conquistare rispettivamente Bnl e Antonveneta. «Riguardo all’autorizzazione all’acquisto di partecipazioni di controllo nelle banche - ha annunciato Draghi - sarà abolito l’obbligo di comunicazione all’organo di vigilanza prima che venga proposto al consiglio» del gruppo che lancia l’operazione.
Quello di ieri è un tassello in più rispetto a quanto dichiarato al Forex di Cagliari di fine inverno, quando il via libera a una nuova stagione di aggregazioni bancarie, interne o «cross-border», era già stato dato.
C’era molta attesa per la parte che Draghi avrebbe dedicato al «risiko» bancario. Attenzione non delusa, ma senza voli pindarici: se qualcuno si aspettava una spinta forte verso le fusioni, magari con i profili dei candidati preferiti, è rimasto deluso. E non poteva che essere così nel nuovo corso: tramonta definitivamente il dirigismo dell’era Fazio, in tutti i sensi, per lasciare spazio a una visione liberista, in cui l’unica regia possibile è quella del mercato, chiamato a giudicare d’ora innanzi ogni eventuale operazione.
Ci pensino, dice Draghi, soprattutto i nostri grandi gruppi, perché «l’ulteriore sviluppo, anche dimensionale delle banche giova alla competitività del sistema finanziario e rafforza l’economia». In questo senso il monito alle banche è preciso nel contenere i costi per la clientela: «I costi applicati dalle banche per la chiusura dei conti (che Bankitalia ha calcolato in media pari a 34 euro) hanno particolare rilievo perché possono limitare la mobilità della clientela ostacolando la concorrenza».
Il problema dimensionale, peraltro, è noto all’estero da tempo. Tanto che «i principali gruppi bancari europei dispongono ora delle risorse per estendere in misura significativa la propria attività oltre i confini nazionali». Le banche italiane si sono avvicinate, ma non basta. E Draghi dice: «Il processo deve continuare». Mentre per le banche minori non c’è questa urgenza: esse «conservano un ruolo insostituibile nel finanziamento dei sistemi produttivi locali».
La Borsa ha risposto da Milano con una rialzo diffuso di tutto il settore. Dopo le parole del governatore, i segni «meno» che da tempo infestano il mercato azionario, si sono girati in «più». Capitalia ha chiuso con un più 3,5%, Banca Intesa 2,2%, Mediobanca più 1,7 e Unicredito più 1,6 per cento. Più difficile, se non impossibile, pensare a chi si riferisse Draghi, a quali profili, a quali nomi. E su questo nessuno si è avventurato. Ma qualcuno ha però letto nell’intervento che il presidente di Intesa, Giovanni Bazoli, ha letto dopo quello del governatore (in virtù del suo ruolo di primo azionista della Banca Centrale) l’intento di «forzare». L’accenno è quello a «un clima quasi impaziente di nuove aggregazioni» auspicate anche «dall’autorità politiche e da una diffusa opinione pubblica».

Sullo sfondo si può leggere, a torto o a ragione, un riferimento all’operazione Intesa-Capitalia, che a Bazoli sta ancora a cuore e che invece a Roma non è gradita. Si vedrà. In ogni caso, ad ascoltare Draghi, a decidere potrà essere solo il mercato.

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