L’anarchico che nacque principe

Fu pupillo dello Zar ma l’emancipazione dei servi della gleba non gli bastò

L’anarchico che nacque principe

Nella fortezza di Pietro e Paolo, cupa e distesa sulla Neva con nerissima gravità, ma inarrivabile nella sua guglia d’oro, entrò il fratello dello zar granduca Nicola. Di molto curioso, seppur frettoloso, era costui in esubero di forze con le basette rosso biondacee tese come le vibrisse di un gatto. Gli si aprirono subito tutte le porte fino alla cella dov’era detenuto il trentaduenne Piotr Alexeievic Kropotkin, che lo riconobbe, dedicandogli il suo lento saluto. E allora con voce di basso il granduca senza indugio gli chiese come mai proprio lui, il loro Piotr, paggio dello zar si fosse riunito a quei pazzi? Lui il principe Kropotkin, anarchista. Perché? E chiedendoglielo così alla russa, familiarmente, le basette quasi gli vibrarono per lo sdegno. Ma Kropotkin tacque. «Sono stati i decabristi, ti reclutarono loro?». Lui lo negò: «No, sono sempre stato lo stesso». E il granduca, più ansioso: «Ma addirittura vi conobbi bambino» Al che Kropotkin rispose meditante: «Nel corpo ero un bambino. Ma quanto è indefinito nell’infanzia, diviene definito, si forma per sempre da adulti». Replica filosofica e tale quindi da non persuadere il granduca, che uscì dalla cella più perplesso di come v’era entrato.
Kropotkin era nato discendente dei principi di Smolensk nel 1842, regnante Nicola I, per il quale la Russia era una caserma dove agli aristocratici toccava la parte dei pretoriani, alle immense plebi coscrizioni venticinquennali. L’inclinazione russa all’indisciplina venne corretta a dosi di terrore brutale. Assecondate dagli aristocratici ignavi. Nella guerra contro i turchi suo padre venne, infatti, decorato,lui, della Croce di Sant’Anna: un suo servo aveva salvato un bambino da un incendio. Tanto bastava. Ogni fervore del giovane Kropotkin provenne semmai da sua madre Ekaterina Nicholaevna Sulima, figlia del grande generale delle guerre con Napoleone: così eccentrico da essere onestissimo; e discendente di un atamano cosacco torturato a morte dai polacchi. Questa madre alta coi capelli neri e gli occhi fervidi, teneramente prediletta dai figli e dai servi, come in consimili casi la vita richiede, era destinata a morire giovane. Il pigro padre si risposò con una matrigna maligna.
Il nostro undicenne però intanto leggeva Gogol, molto anche lo commovevano Pushkin, il ribelle Pugachev, e gli eroi di Dumas. Fu ammesso a corte durante la guerra di Crimea, ma a distrarlo c’erano i canti funebri solenni dei contadini che piangevano i loro morti. E il granduca non sapeva che appena reclutato nel corpo dei paggi, Kropotkin era insorto contro i paggi anziani e le loro prepotenze. Gli toccarono pure dieci giorni di cella per ribellione.
Ma l’istinto di quel delicato ragazzino era ormai distratto. Ammirava la natura, e l’unicità dell’uomo e lo stile di Herzen: un senso di vastità gli occupava l’anima. Nel 1861 visse perciò con sollievo l'emancipazione dei servi della gleba, e sentì la dignità paziente di quegli umili venuti a ringraziare lo zar. Persino ai paggi fu concesso di insegnargli a leggere. Ma quando venne nominato sergente, il che equivaleva a essere trattato come un ufficiale, gli toccò d’essere paggio personale dello zar. Conobbe perciò le ansie di Alessandro II, uomo infelice e quei di lui pessimi consiglieri: colui che aveva generato tante speranze non poteva soddisfarle. Lo zar risvegliò la Russia, ma dopo rifiutò di sottoscriverla. Ne ebbe anzi paura: tra il dispotismo e la resa nell’anima di quell’autocrate c’era solo il nulla. Non gli piacque quando apprese che Kropotkin, che prediligeva, s’era deciso di andare esploratore in Siberia. Lo convocò, ma non sapeva replicare agli argomenti altrui se non rinchiudendoli in una fortezza. Però il candore di quel giovane non gli richiese alcuna replica; e allora lo zar ne convenne: «Bene, andate, si può essere utili ovunque». Le repliche degli altri colmarono però le galere.
E pertanto contemplò l’Amur immenso, ed imparò pure che a un uomo potevano bastare pane e tè per essere ricco. Fu sorpreso dai silenzi fraterni che gli esiliati russi dedicavano a lui, ufficiale dei cosacchi. Tutto era semplice, richiedeva solo la pace di tutto, perché l’innato amore fraterno accordasse gli uomini alla natura. Questa pace del cuore, concedeva del resto al nostro un vagare della mente libero per quant’era coerente e accurato, da ispirato.
E infatti quando tornò alla civiltà gli riuscirono degli studi sterminati e geniali. Ricercò addirittura il principio delle montagne dell’Asia e si persuase che non erano del genere alpino come credevano i geografi dell’Occidente. Comparando l’altezza di quelle vette coi i diari meteorologici di cui poté disporre, sentì l’ebbrezza illuminata di una grande scoperta. Scoprì pure che le catene dell’Asia non si disponevano da nord e sud, ma da sudovest e nordest, tanto che nel 1873 col suo saggio pubblicato dalla Società Geografica Russa ispirò la mappa dell’Asia nel famoso atlante di Stieler. Infine previde nel mare dell’Artico l’esistenza addirittura di una terra sconosciuta, che dedusse dalle correnti. E infatti quando la spedizione polare austriaca scoprì la terra di Franz Joseph, i russi ne furono scontenti. Attribuirono nei loro manuali la scoperta al loro principe, la chiamarono: terra di Kropotkin.
Ma titoli e denaro sono uno spreco per anime intrise di panico ascetismo. E il neppure trentenne scienziato era di intelligenza abissale, mite e alla buona, ma come le pianure dell’Asia senza limite. Era quindi già un perfetto stravagante quando si decise a visitare l’Europa anzi la Svizzera. Ovviamente finì tra i pazzi. Ma almeno disdegnò i seguaci di Karl Marx e preferì Bakunin. Non gradì i marxisti compromessi negli intrighi delle elezioni cantonali, gli parvero settari e invidiosi dottrinari com’erano. Gli orologiai anarchici del Giura e gli anarchici italiani, così mistici, invece, gli piacquero molto, e i racconti dei reduci della Comune di Parigi lo conquistarono a un mondo di eguali. Ovvio: tornato in Russia finì in prigione giacché non c’erano, non ci sono e non ci saranno mai in quello stato mezze misure tra la resa o la polizia segreta. S’era abituato al fetore della sua fortezza sulla Neva, quando seppe di suo fratello imprigionato pure lui. Ma dopo la visita del granduca venne trasferito. La volontà gli cedette nella nuova cella di dieci piedi per cinque; e nel 1876 vennero pure le malattie a logorarlo.
Ma la sua mente gli rimase ben presente. Per la qual cosa escogitò un piano di evasione, cogli altri eversori che era tutto un romanzo di palloncini rossi da lanciare come segnali e mazurke da suonare al momento appropriato. Ebbe per complice anche un medico della imperatrice che morì, anche perciò, in Siberia.

E venne rincorso dalla baionetta d’una guardia, convinta fino all’ultimo d’averlo preso. Ma Kropotkin al ritmo di un violino riuscì a saltare su una carrozza. E fu così che da principe divenne anarchico compiuto, e il massimo teorico del reciproco aiuto.
(2. Continua)

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