«La speranza è che alla fine prevalga la ragione. E che il disegno di legge sullo stato giuridico dei docenti venga modificato, perché così non va». A dirlo sono i rettori delle tre università statali della città. Enrico Decleva (Statale). Marcello Fantanesi (Bicocca) e Giulio Ballio (Politecnico) spiegano che il testo già approvato dalla Camera «penalizza le università pubbliche». «Sparisce la figura del ricercatore. I giovani che hanno concluso il dottorato potranno avere un contratto di tre anni rinnovabile per altri tre. A quel punto dovrebbero entrare in ruolo come professori associati. Cosa molto difficile, considerate le migliaia di ricercatori già oggi in attesa. Il rischio è di perdere i giovani migliori».
Ad ascoltarli, alla Statale, cè un gruppo di ricercatori, una trentina, quasi tutti di facoltà scientifiche. Mostrano una maschera da panda. «Siamo in via di estinzione. Proteste? Siamo pronti a rinunciare alla docenza - spiegano -. I corsi resteranno scoperti. Ma in pochi stanno appoggiando la nostra protesta», dicono. «Non è nostro compito scendere in piazza», ribattono i rettori. I posti da ricercatore, avvertono, potrebbero diminuire. «Gli assegni di ricerca oggi hanno sgravi fiscali e bassi oneri previdenziali - ricorda Ballio -. I nuovi contatti saranno di tipo privatistico, a noi costeranno di più. E ne faremo di meno».
Ai rettori ha risposto il ministro. «Con la riforma avremo 10mila nuovi posti di ricercatore in tre anni», spiega Letizia Moratti. «Si creano le condizioni per una massiccia immissione nelle università di giovani ricercatori che potranno rimanere all'interno degli atenei, su autonome decisioni delle stesse università, fino all'acquisizione della maturità necessaria per l'accesso alla docenza.
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