L’architetto della libertà

Parla Daniel Libeskind, l’uomo che costruirà a New York la Freedom Tower sulle rovine di Ground Zero

da Mantova
Basta che respiri e le polemiche imperversano. Ma lui se ne fa un baffo e ieri sera, nel corso di una brillante conferenza stampa, ha dichiarato che solo chi non agisce scompare nel magma dell’oblio e del nulla. «Io di polemiche non ne faccio - dice soave - se poi gli altri ci provano gusto, meglio per loro».
E pensare che il suo cognome in tedesco - liebes Kind -, vuol dire «caro bambino», lui, con quella simpatica faccia da monello brizzolato. Daniel Libeskind, nato in Polonia nel ’46, berlinese d’adozione e naturalizzato statunitense, è uno dei più noti architetti Usa (ama l’Italia e Terragni), nonché numero dodici nella classifica degli architetti mondiali, titolare di grandi opere tra cui l’arcidiscusso nuovo Museo Ebraico di Berlino, ora accettato dai più (i giovani berlinesi lo hanno eletto a luogo di ritrovo), e di progetti in corso come la riqualificazione del quartiere Fiera di Milano e la complicatissima ricostruzione di Ground Zero con la Freedom Tower a New York.
«Non è facile - ammette - ricostruire un’area così vasta che racchiude un passato di anime e di emozioni così diverse, la più potente quella dell’11 settembre. Moltissimi sono gli aspetti da considerare, ma vi posso assicurare che il progetto sarà ultimato nel 2009». Del resto, dice, per fare tutto questo più che centometristi bisogna essere dei maratoneti. Ma per tornare alle polemiche in questo caso italiane, un vero e proprio gossip political-cultural-ambientalista lo ha scatenato la costruzione dell’opera Memoria e Luce - World Center Memorial, che s’inaugura oggi a Padova a quattro anni di distanza dall’attentato alle Torri Gemelle e proprio nel giorno della strage: una città «dove la gente verrà per ricordare la morte e vedere il futuro», come ha scritto e ripete oggi l’architetto dopo la posa della prima pietra il marzo scorso.
Intanto in questi giorni apriti cielo: «Un monumento orribile» (Philippe Daverio); «Che c’entra Padova con l’11 settembre?» (Vittorio Sgarbi); «Un culto delle reliquie» (Paolo Portoghesi). E non solo: fiumi d’inchiostro, appelli e rimostranze da parte di arcinoti architetti italiani - 35 firmatari tra cui Vittorio Gregotti ed Ettore Sottsass - che si ribellano alle invasioni di colleghi stranieri e invocano Ciampi e Berlusconi a dire stop, salviamo la tradizione italiana. «Non viviamo in un mondo provinciale - controbatte il Maestro -, il mondo è pluralistico, anche gli italiani costruiscono all’estero con successo». Parole sottoscritte da Massimiliano Fuksas, nato a Roma e di origine lituane: «Sono per una competizione positiva nell’era della globalizzazione dove chi vince è il più bravo».
Al di là delle singole opinioni e dei rimpianti di quando con Palladio era l’Italia ad esportare l’architettura nel pianeta, riguardo all’opera padovana in discussione è stato messo il valore estetico, il legame con il territorio veneto e la scelta di ricollocarla alle Porte Contarine, a ridosso delle mura cinquecentesche della città. E se da un lato gli ambientalisti di varie associazione si sono riuniti al grido di «giammai una scelta che vada a modificare un’ansa del Piovego e la vista delle mura veneziane», è anche vero che a Padova c’è chi gongola e in tutto questo vede una grande opportunità: oggi sono migliaia le persone che navigano il Piovego e forse dall’11 settembre in poi aumenteranno, americani inclusi, e potranno visitare l’opera arrivando proprio dall’acqua.
E poi chi lo sa, da cosa nasce cosa, la zona magari si riqualifica con la soddisfazione di tutti. Ma questa è un’altra storia del «si vedrà». In attesa che le polemiche si spengano e le grida si stemperino in sussurri, la nuova opera di Libeskind, l’architetto ebreo che è arrivato per nave a New York quando era un ragazzino e un immigrato - la sua vita si legge nel bel libro Breaking ground.

Un’avventura tra architettura e vita, edito da Sperling & Kupfer) - è tutta lì da vedere: il Memoria e Luce - World Trade Center Memorial - raffigura un libro aperto, in vetro e metallo, alto quindici metri, che custodisce all’interno di una «pagina» il frammento di una trave bruciata e contorta della torre sud delle scomparse Torri Gemelle.
Peso del frammento: quasi due tonnellate; costo dell’opera 107mila euro. Pagate dalla Regione.
m.gersony@tin.it

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