Con il tempo non si cresce, si invecchia. «Letà non porta nessuna maturità, letà porta solo la vecchiaia». È la verità che, toccando il mezzo secolo di vita, ammette in sordina lautobiografico personaggio cui Knut Hamsun assegna il proprio vero nome - Knut Pedersen - e un comune destino di vagabondo. Aveva cinquantanni lo scrittore norvegese nel 1909 cui data Un vagabondo suona in sordina (Iperborea, pagg. 208, euro 13; nuova traduzione di Fulvio Ferrari): coetaneo dellalter ego seguito come unombra già nel precedente Sotto la stella dautunno, scritto nel 1906 (Iperborea, 1995).
Non erano trascorsi che tre anni, dunque, dacché i due Knut si erano incamminati fianco a fianco; sei, nella finzione narrativa, dallavventura stellare e autunnale del protagonista, al suo ritorno sul luogo dellamore antico: la fattoria del capitano Falkenberg nelle campagne ancestrali e patriarcali di Øvrebø. Il paesaggio è lo stesso: maestosa la montagna, fiorito il bosco che promette di arrossarsi di bacche al ritorno dellautunno. Eppure lidillio è svanito. E non tanto per lassenza inquietante dellamante di un tempo. Il tempo, appunto, ha mutato ogni cosa: ha trasformato ogni bellezza - dellamata, della natura, del ricordo di una storia - in letteratura. «Ormai considero una donna - o il mio zelo ardente di giovane bracciante - come considero la letteratura», nota tra sé la voce che racconta.
Il tempo ha cambiato in pochi anni il passo del viandante e gli accenti del narratore. Le due cadenze sono sincronizzate e in sintonia: risponde infatti alle indicazioni di ritmo e intonazione messe in chiave dallautore il vagabondo che per eseguirne la composizione Suona in sordina. E la melodia suona stridula, dissonante, certo non più sognante. È la colonna sonora ideale per la stagione del disincanto. Delle utopie politiche perdute per il tradizionalista-reazionario? Comunque ribelle - che vagheggiava laristocrazia terriera e la nobiltà rurale di una società spazzata via dai tempi moderni e dalla democrazia. È la tonalità della stagione che, più fatalmente di un autunno delle stelle, intacca la forma narrativa: non più lineare e compiuta come quella che, appena tre anni prima, poteva chiudere nella cornice del romanzo lo splendore di una favola idilliaca.
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