RomaA volte è detestabile avere ragione. «Lo avevo detto che non si sarebbe fermato, ma non mi hanno dato ascolto. Tutto questo si poteva evitare». A volte, anche per chi vuole meritarsi la nomea di principe del foro, non c’è riscatto nell’accorgersi di essere stato più lungimirante di un giudice. «Lo avevano preso e lo hanno lasciato andare. Così abbiamo accumulato 13 anni di violenze. Che, a livello numerico, sono molte di più di quelle accertate finora. Vedrete quante ne salteranno fuori». A parlare è Francesco Caroleo Grimaldi, professione avvocato. Lui Luca Bianchini lo conosce da 13 anni, e non perché è un vicino di casa, un amico di famiglia, un parente o un militante del Pd. Lui, come pochi o pochissimi altri, lo conosce per quello che veramente è: uno stupratore. Per giunta molto precoce, visto che si trovò a difendere una sua vittima già nel 1996, quando il «maniaco dei garage» dei giorni nostri aveva appena 19 anni. Fu catturato, imprigionato e assolto. Perché - si disse - agiva in preda a un raptus. Dunque poté ritornare a casa con il beneficio del perdono e la fedina penale pulita, «illibata». Con in tasca la licenza implicita di colpire ancora e ancora.
Era il 28 maggio e Bianchini abitava con i suoi genitori in un palazzo di Centocelle, periferia est della Città Eterna, il quartiere popolare per antonomasia. Lui solo in casa. Al piano di sotto la tentazione, la vicina, la «preda», una donna di 49 anni con un figlio di 10. Il campanello che suona, lei che apre e davanti all’uscio si trova il bravo ragazzo che sorride sempre, tanto gentile ed educato. «Mi è caduta la maglietta sul suo balcone - spiega timido - posso andare a riprenderla?». Si chiude la porta e il sorriso sparisce, la timidezza diventa furia, la lucidità rabbiosa follia: in un attimo Bianchini assale la vicina armato di un coltellino. La butta sul divano e cerca di violentarla. La mamma grida, il bambino di più. Terrorizzato, con tutto il fiato che ha in gola. Ma non serve, perché l’uomo nero che ha carne e ossa si ferisce però non si ferma: allora il piccolo raccoglie forze e coraggio e decide di agire. Lo afferra per i capelli, glieli tira con tutta l’energia disperata che la sua età gli concede, consente alla donna di liberarsi della morsa e di andare a chiedere aiuto.
Bianchini è con le spalle al muro, sembra spacciato, però una perizia lo grazia: «Sosteneva - ricorda Caroleo Grimaldi - che pur essendo capace di intendere e di volere era temporaneamente incapace al momento del fatto, della tentata violenza. Per questo non venne ravvisata nessuna pericolosità sociale. Una conclusione assurda perché non si può ritenere sana di mente una persona che compie un gesto del genere». E lo ripete nel tempo, coltivando le sue ossessioni, affinando tecniche e metodi per renderlo perfettibile, per dargli un marchio che lo caratterizza. Forte anche dello stigma assolutorio di essere un folle con il timer, in grado di recitare a menadito il copione di una vita comune. «Me lo ricordo come un ragazzo normale», conferma l’avvocato. Insospettabile e innocente. Anzi, impunito.
Rimangono le ferite nelle vittime, i numerosi traumi di chi ha dovuto vedersela con il suo lato «anormale», nascosto nelle pieghe dell’animo e pronto a saltar fuori al momento opportuno. Quella donna, la prima vittima, è dovuta fuggire verso il Nord Italia. Lontana da quel divano su cui non riusciva più a sedersi, quella casa che di colpo è diventata buia e inospitale, con un vicino di casa che era sceso dal piano di sopra e, di punto in bianco, aveva tentato di violentarla. Lontana da una città che non aveva saputo proteggerla, né prima né dopo. Per riuscire, o almeno provarci, a dare un sollievo a un bambino che non conosceva più il sonno e non smetteva di vomitare. Ora, come ha confessato al fratello ieri, potrebbe costituirsi parte civile per sostenere le altre donne che, col tempo, hanno condiviso il suo destino.
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