L’energia necessaria

L’Enel non sta ferma di fronte alla crisi energetica e vuole (vorrebbe) sbarcare in Francia e lanciare, forse, un’Opa per acquistare il gruppo Suez che, a sua volta, controlla Electrabel. Vorrebbe farlo ma la Francia ha reagito a questa iniziativa mettendo bastoni fra le ruote per bloccarla. La strategia dell’Enel è chiara: per sani motivi di politica industriale, il gruppo italiano, quotato in Borsa e privatizzato, vuole conquistare il controllo di una società privata, la Suez, creare un gruppo di dimensioni importanti e competere al meglio sul mercato internazionale. Un’operazione che non fa una piega: sia considerata dal punto di vista dei problemi energetici del nostro Paese sia dal punto di vista della strategia industriale e delle regole di mercato.
Ma cosa ha pensato di fare il governo francese? Lo ha detto per bocca del capo del governo Dominique de Villepin: lo Stato che possiede all’80% Gaz de France la fonderà con Suez creando un vero e proprio colosso a quel punto difficilmente scalabile da altre società europee, Enel compresa. In altri termini, la Francia usa soldi e risorse pubbliche per ostacolare un’operazione di mercato. Qualcosa che è contro le leggi più elementari della concorrenza che non possono tollerare l’intervento lesivo della mano pubblica all’interno del mercato. Non occorre essere liberisti per rimanere esterrefatti di fronte a ciò che ha fatto in Francia. Basta attenersi alle norme basilari della concorrenza. Forse lo può capire anche un francese: basterebbe che - per una volta nella storia - anteponesse le regole del gioco al perseguimento a tutti i costi dell’interesse nazionale. Hanno fatto benissimo i ministri Tremonti e Scajola a criticare questa operazione protezionista (lo ha fatto il ministro dell’Economia) e ad annullare l’incontro che avrebbe dovuto esserci domani tra il nostro ministro per le Attività produttive e quello francese. Ci rendiamo perfettamente conto della durezza di questa presa di posizione del governo italiano, che certamente è al limite di una possibile crisi diplomatica. Ma ci chiediamo anche: poteva agire diversamente il governo? Qui non siamo, infatti, di fronte a qualcosa di opinabile. Qui siamo di fronte a una lesione profonda del diritto commerciale internazionale. Non ci meraviglia quello che hanno fatto i cosiddetti cugini d’Oltralpe. È la solita Francia che ritiene l’interesse nazionale (almeno presunto) superiore anche alle leggi internazionali.
Naturalmente il tutto è ammantato dalla difesa dell’interesse superiore, ma in realtà non siamo nell’accademia greca, siamo in bottega e magari nel retrobottega: quello degli interessi particolari, cioè nazionali. Noi non abbiamo nulla contro gli interessi dei francesi e non abbiamo nulla contro gli interessi in generale (li abbiamo difesi anche nel caso di Unipol). Quello che detestiamo e combattiamo è il perseguimento di interessi illegittimi attraverso maschere di utilità pubblica e di utilità generale. Questo non può essere.


L’Italia è pronta ad aprire il proprio mercato a condizione di un’apertura reciproca e parallela dei mercati altrui. L’accoglienza positiva riservata a Paribas, protagonista dell’Opa su Bnl, va in questa direzione. La Francia, evidentemente, è di altro avviso. Basta saperlo. E, se serve, comportarsi di conseguenza.

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