L’epatite C va curata subito

Colombo: «In quasi l’80% dei casi il virus HCV scompare dopo sei mesi di cura con interferone e ribavirina»

Ignazio Mormino

Domani primo ottobre viene celebrata la Giornata mondiale conto le epatiti, malattie infettive temibili ma sottostimate. L’epatite C, in particolare, sarà al centro di una grande campagna di sensibilizzazione, che prevede la distribuzione di materiale informativo sui treni e l’attivazione di un numero verde (800.90.37.22) cui chiedere informazione sulla malattia e sulle terapie più efficaci per sconfiggerla.
Il virus che trasmette attraverso il sangue l’epatite C si chiama Hcv. L’infezione può essere silente per poi esplodere all’improvviso, causando danni epatici molto gravi come le cirrosi e un carcinoma devastante. In Italia, dove ci sono almeno un milione di casi di epatite C conclamate, si registrano ogni anno diecimila nuove infezioni da Hcv, provocate da siringhe infette, tatuaggi, interventi chirurgici invasivi. L’età più colpita è quella dei quaranta, cinquant’anni.
Come ha spiegato il professor Massimo Colombo, cattedratico di gastroenterologia nell’Università di Milano, il virus può essere trasmesso anche nei rapporti sessuali; ma questa via non è più temibile perché molte «prediche» sulla cautela (legate soprattutto alla prevenzione dell’Aids) sono state finalmente ascoltate.
Sul piano terapeutico, ha aggiunto il professor Colombo, oggi disponiamo di cure molto efficaci che riescono a evitare lo complicanze più serie. La terapia cui si ricorre più spesso è quella che vede affiancati il novo interferone pegilato e un forte antivirale come la ribavirina. Questi farmaci devono essere somministrati almeno per sei mesi, con alte percentuali di guarigione (dal 70 all’80 per cento) nei pazienti non obesi e non alcolisti. Queste due categorie di malati non ottengono infatti buoni risultati.
Naturalmente la precocità della diagnosi (e quindi della terapia con interferone e ribarivina) è un ulteriore elemento a favore della «caduta» nel sangue del virus Hcv. Per questo la campagna d’informazione e di sensibilizzazione che a partire dal primo ottobre verrà orchestrata in tutta Italia può dare una maggiore consapevolezza sulle epatiti in generale, sull’epatite C in particolare, spingendo i soggetti a rischio a controlli attenti delle transaminasi e più in generale dell’attività epatica.
La campagna in parola, promossa da Epac Onlus (associazione di medici e pazienti) si affida ad un titolo d’effetto: «L’epatite C c’è». Tra gli altri messaggi, ne trasmette uno di grande impatto emotivo: l’epatite C è, in tutto il mondo, la causa principale del trapianto di fegato.

Alcuni trials internazionali hanno rilevato la presenza di sintomi neuropsichici nei malati di epatite: inparticolare ritardi cosgnitivi e disturbi della memoria, con ricadute sul comportamento.
Ecco perché, sono parole del professor Colombo «il ricorso a cure tempestive non solo evita pericolose complicazioni ma serve a garantire una buona qualità di vita, fondamentale in una malattia di lunga durata».

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