L’eugenetica è solo un pretesto

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C’è qualcosa di ambiguo, trasversale e intellettualmente non limpido nel parlare in questo momento di eugenetica, a pochi giorni dal referendum indetto per abrogare solo quattro punti della legge 40 sulla fecondazione assistita. È legittimo chiedersi il motivo per cui, proprio oggi, si evocano gli orrori dell'eugenetica - sì, gli orrori! - dato che la questione è estranea alla materia referendaria. Se anche i quattro «Sì» abrogativi prevarranno con il raggiungimento del quorum nel referendum, sia nella legge in vigore sia nel regolamento di attuazione resterebbe immutato il divieto di pratiche eugenetiche.
È per ciò che evocare lo spettro dell'eugenetica è oggi pretestuoso. Meraviglia che per iniziativa del Foglio alcuni autorevoli politici e intellettuali si siano prestati ad alimentare l'ambiguità di una campagna contro l'eugenetica che in questo momento non ha senso alcuno in Italia mentre avrebbe avuto altra legittimità e forza se fosse stata lanciata nel momento di discussione della legge e venisse ripresa dopo il voto del 12-13 giugno. Parlarne ora è un imbroglio perché si mescola un discorso teorico, generale e internazionale con una scelta puntuale, precisa e nazionale.
Non depongono a favore dell'ipotesi riformista di socialismo europeo le firme all'appello del Foglio di leader come Giuliano Amato e Piero Fassino che si sono prestati al gioco di una crociata culturale all'ultimo respiro in cui si mette nello stesso calderone, senza distinguo, la ricerca scientifica su cellule staminali, il numero degli embrioni da impiantare, l'inizio della vita umana, e gli orrori praticati non solo dai nazisti. E mi pare che non possa essere interpretata come una rigorosa riflessione su libertà e responsabilità la motivazione delle firme di intellettuali liberali come Ernesto Galli della Loggia e Angelo Panebianco, troppo frettolosamente annessi, con il pretesto dell'eugenetica, al fronte unico anti-referendario.
Se c'è qualcuno che pensa che andare a votare, e votare «Sì» al referendum, significa aprire la strada alle mostruosità eugenetiche, lo dica apertamente. Forse Giuliano Ferrara nella sua crociata culturale anti-relativismo, anti-secolarismo e anti-scientismo è fra questi, mentre pare improbabile che gli altri firmatari condividano le sue tesi, pur lasciando da parte le chiacchiere di quei cristiani che straparlano di nazisti referendari. Se, invece, come mi pare più probabile, le firme di Amato, Fassino, Galli della Loggia, Panebianco, Mafai e altri ancora vogliono soltanto esprimere una presa di distanza dai referendum, mi pare che abbiano scelto il tema e il tempo sbagliati.
Confondere, anche se trasversalmente, le abolizioni referendarie di quattro norme assurdamente proibizionistiche con il via libera alla creazione di chimere, di manipolazioni biologiche e selezioni genetiche, è un equivoco. Perciò non si sa cosa pensare del Corriere della Sera che sceglie questo momento per sbattere in pagina culturale un'orribile vicenda di eugenetica americana («La rivolta dei figli di Stato» del giornalista italo-americano Michael D'Antonio, 1 giugno 2005), quasi a fare sinergia con «l'Appello contro l'eugenetica» firmato da suoi autorevoli editorialisti.
Si rassicurino gli italiani che andranno alle urne: la vittoria dei «Sì» non aprirà la strada all'eugenetica. Si rassicurino i leader politici che hanno deciso di rendere pubblico il loro voto: nessuno li accuserà di connivenza con le mostruosità bio-genetiche. Si rassicurino gli intellettuali: non sono necessari espliciti proclami anti-eugenetica per essere considerati liberali responsabili ed etici. Non mi pare che in Italia vi sia qualcuno che abbia in mente alcunché di simile, salvo che non si voglia valorizzare qualche macchietta esibita in Tv che parla di clonazioni realizzate in Paesi arabi.
Quando vent'anni fa presentai in Parlamento una proposta di legge per regolamentare la «disciplina dell'inseminazione artificiale umana», primo progetto non proibizionista per arginare il cosiddetto Far West, inserii, tra le norme qualificanti, le seguenti raccomandate dal Consiglio d'Europa: a) divieto di pratiche eugenetiche e di ingegneria biologica, b) responsabilità del medico, e c) consenso dell'altro coniuge.

È passato molto tempo, le tecnologie di intervento si sono assai sviluppate, ma il buon senso e la moralità verso la comunità nazionale dovrebbero ancora tenere in conto alcuni presupposti che restano immutati: libertà e responsabilità; regole e non proibizioni; solidarietà e non anatemi.
m.teodori@agora.it

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