«Nel 2008 il mondo intero attende con impazienza i giochi olimpici, ma la cricca del Dalai Lama vuole prendere le Olimpiadi in ostaggio per forzare il governo cinese a cedere sullindipendenza del Tibet». Basterebbe la spudoratezza arrogante di questa dichiarazione, apparsa contemporaneamente sul Quotidiano del Popolo, organo del Partito comunista, e su quello dellEsercito popolare di liberazione, per capire che non basteranno le Olimpiadi, come ingenuamente crede, o finge di credere, il presidente del Cio, Jacques Rogge, ad aprire la Cina alla circolazione della democrazia. Peggio, il Quotidiano del Popolo afferma che la Cina «schiaccerà con forza», tutte le «iniziative dei secessionisti». Pechino crede anche di potersi permettere una reazione di rabbia alliniziativa della presidente del Congresso americano Nancy Pelosi, che ha incontrato il Dalai Lama e si è unita alla richiesta di uninchiesta internazionale sulle violenze commesse in Tibet. Le dichiarazioni della Pelosi, ha detto un portavoce del ministero degli Esteri cinese, «violano tutti i principi delle relazioni internazionali». Ma lo stesso appello al dialogo con il Tibet lo aveva lanciato il segretario di Stato americano Condoleezza Rice, perché meno di così non si può, al costo di perdere la faccia, e dopo aver fatto un favore enorme alla Cina.
Pochi giorni fa Washington ha deciso infatti di cancellare la Cina dalla lista nera dei Paesi che violano i diritti umani, dove invece continuano a figurare con ottime ragioni Corea del Nord, Birmania, Iran, Siria, Zimbabwe, Cuba, Bielorussia, Uzbekistan, Eritrea e Sudan. La decisione è stata presa in spregio del ridicolo, visto che gli Usa hanno dovuto confermare che in quel Paese continuano gravissime violazioni ai diritti umani: persecuzioni delle minoranze etniche e religiose, uso della tortura, limitazioni alla libertà di pensiero e di stampa, e la presenza di mille laogai, i campi di concentramento. Perché? Gli Stati Uniti sono in piena crisi economica, e chiunque venga eletto il primo martedì di novembre, a Olimpiadi da poco chiuse, gli investimenti economici e finanziari, gli scambi con la Cina, gli saranno indispensabili, vitali. Inutile, dunque, aspettarsi dagli Stati Uniti qualsiasi sostegno al boicottaggio delle Olimpiadi, al contrario preferiscono aiutare la grande macchina militare e poliziesca cinese, per essere certi di prevenire ogni tipo di attentato, soprattutto di origine islamico. Monaco è sempre tra i ricordi, Al Qaida pure.
Ora il dilemma, non nuovo ma sempre amaro, è se debbano gli Stati, europei in testa, vista la scelta americana, esercitare solo pratica di realismo estremo, e concludere che le Olimpiadi si faranno comunque, meglio affidare i dimostranti dissidenti al loro destino, oppure che qualche gesto, e non solo simbolico, in nome dei sai arancioni ricoperti di sangue, dei morti birmani e tibetani, della libertà di razza e religione, si debba fare, anche a costo di rompere la retorica della torcia che marcia solo assieme al business. Trenta intellettuali cinesi - guidati dallo scrittore Wang Lixiong e dallattivista per i diritti umani Liu Xiaobo - hanno appena scritto una lettera aperta che propone ai leader cinesi di «aprire un dialogo diretto col Dalai Lama» per arrivare a una «riconciliazione nazionale». Lultimo dissidente che ci aveva provato è stato condannato a cinque anni di lavori forzati. Se qualche nostro intellettuale occidentale legasse la propria incolumità a quella dei firmatari, presentandosi a Pechino con la forza dellappoggio dei rispettivi governi, forse questi sarebbero meno isolati. Se i 25mila giornalisti accreditati dichiarassero subito che non si occuperanno solo di sport nei giorni dei Giochi, forse porrebbero a esercito e polizia qualche problema di repressione sotto gli occhi del mondo.
LItalia ha esordito malissimo, con Romano Prodi che si è rifiutato di farsi vedere con il Dalai Lama, per la verità è stato molto prudente anche papa Ratzinger, che teme per la vita dei cattolici perseguitati.
Maria Giovanna Maglie
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