Ottobre 1989, Pechino, piazza Tienanmen. Arriva il primo capo di Stato in visita alla Cina dopo la repressione. Si chiama Than Shwe, viene dalla Birmania. Porta la solidarietà della giunta militar-socialista di Rangoon al regime militar-comunista cinese in nome, fra laltro, della «comune minaccia del disordine». Un fenomeno che il resto del mondo chiama «protesta democratica». Il regime birmano laveva conosciuta un anno prima di quello cinese, con massicce dimostrazioni di protesta contro la dittatura e con la richiesta di libertà; e la risposta era stata quella: il fucile dei militari contro le mani vuote dei monaci buddisti e dei giovani che li seguivano. Una «causa comune», sanzionata pochi mesi dopo dallinizio delle forniture darmi da Pechino a Rangoon. Con una differenza molto importante: che il regime cinese, dopo Tienanmen, ha mantenuto uno stretto controllo sulla vita politica, ma ha lasciato sempre più libera leconomia, che ha portato a un boom imponente anche se disordinato e a un, anche se diseguale, miglioramento del tenore di vita, che si traduce, sempre, in una acquisizione, se non della Libertà, di molte libertà pratiche. I compagni gallonati e «socialisti» della Birmania hanno percorso la via opposta: hanno fatto precipitare il loro Paese, potenzialmente il più ricco del Sud-Est asiatico, al 150° posto (su 177) nel pianeta come tenore di vita e a un reddito pro capite che secondo le ultime statistiche è di 174 dollari lanno. Con una spesa per la salute pubblica dello 0,3 per cento ma, in compenso, con un bilancio militare che è tra i 15 più costosi del mondo in termini assoluti. Le armi vengono principalmente dalla Cina (in base allaccordo siglato sulla Tienanmen il giorno in cui Than Shwe si fece fotografare sul luogo della tragedia accanto al suo principale responsabile, Li Peng), ma anche dalla Russia e dallUcraina. Da Paesi, insomma, che non possono certamente oggi essere definiti comunisti, ma che sono appena usciti o stanno uscendo da esperienze di «socialismo reale». La giunta birmana, insomma, non è proprio sola e «ideologicamente» fuori dal mondo come in genere viene descritta. Certo coloro che la compongono sono prima dittatori, poi militari e poi «socialisti». Un «socialismo birmano», secondo lantico uso di mettere un berretto nazionale o etnico ad accompagnare e poi ricoprire quello ideologico.
Il regime birmano, del resto, ha una data di nascita che lo colloca anche storicamente: 1962, poco dopo la presa del potere a Cuba da parte di Fidel Castro e di Che Guevara o almeno, se si vuol rimanere allAsia, contemporanea allinizio della guerra in Vietnam. Certo centrava, nella scelta dei nomi e dei simboli, la fresca esperienza coloniale e dunque leredità anticolonialista: la Birmania era stata sotto sovranità britannica fino al 1948, dopo avere opposto una forte resistenza allestensione dellimpero di Londra ed avere partecipato, sotto la guida dei suoi futuri statisti più influenti e democratici, alla Seconda guerra mondiale, dalla parte del Giappone. Tuttavia gli inglesi avevano lasciato un discreto ricordo nel campo economico e il nuovo Stato partiva in testa, in quanto a risorse naturali e a industrializzazione, nella gara per lo sviluppo con i vicini del Sud-Est asiatico. Tutte queste promesse sono finite in nulla dopo il golpe dei generali in nome dellOrdine del Socialismo. Di questultimo ha condiviso il fallimento economico, portandolo a dimensioni addirittura grottesche anche e soprattutto negli ultimi anni, quando quasi tutti gli altri si erano convertiti se non alla libertà, almeno al mercato. Non è un caso che fra i Paesi ex comunisti uno solo sia ancora più povero della Birmania: la Corea del Nord. Ma se continueranno a governare i generali, la vittoria sarà assicurata nella contesa alla rovescia. I conoscitori dellarea definiscono la dittatura birmana come «incredibilmente stupida». Fra laltro essa si è permessa negli ultimi anni di fondare una nuova capitale in una parte remota del Paese a costi enormi e con una voragine nel deficit.
Alberto Pasolini Zanelli
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