L’implantologia avanza con il risparmio biologico

Sempre più spesso, in campo dentistico, si sente parlare di impianti a carico immediato, una nozione ormai ampiamente accettata dalla comunità scientifica. Di che cosa si tratta esattamente? «La metodica del cosiddetto carico immediato si basa su un impianto appositamente progettato per reggere denti fissi (sia pure provvisori), immediatamente dopo l’inserimento», spiega il dottor Silvano Tramonte, direttore sanitario dei Centri Implantologici Tramonte a Stezzano (Bg) e Milano (www.tramonte.com).
«In altre parole, chi deve sottoporsi ad una o più estrazioni dentarie, oppure ha bisogno di una protesi definitiva, può, nel corso di un’unica seduta dal suo dentista, uscire già con i denti provvisori fissi». Ma che differenza c’è tra un impianto tradizionale e uno emergente (cioè quello che, appunto, permette l’immediatezza del carico)? «Gli impianti tradizionali, chiamati anche «sepolti» o «osteointegrati» rimangono inseriti all’interno dell’osso, mandibolare o mascellare, per un periodo dai 4 ai 6 mesi. Trascorso questo periodo, con provvisori mobili, l’implantologo deve tagliare la gengiva per completare l’impianto con la parte protesica che porterà i denti definitivi. Nei casi di impianti a carico immediato, invece, non è necessario alcun taglio gengivale. Attraverso un minuscolo foro (due mm) viene inserita una sorte di vite in titanio che va ad occupare quello che era, in pratica, il posto della radice del dente. Il dente artificiale provvisorio viene quindi applicato sul moncone emergente dalla gengiva, lo stesso su cui, nel giro di 30-40 giorni, si applicherà il dente definitivo».
Notevolissimo il risparmio biologico: la distruzione di tessuto osseo si riduce di circa l’80%. «Riuscire a curare senza aggredire e violentare il corpo, del resto, è uno dei sogni più antichi dell’uomo, ed è proprio questo l’obiettivo della bio-implantologia. Un approccio rispettoso e mini-invasivo che caratterizza da sempre l’implantologia della Scuola italiana e che ormai influenza sempre più anche la più diffusa implantologia svedese», sottolinea il dottor Tramonte. Un altro strumento formidabile che la continua evoluzione di questa branca dell’odontoiatria ha messo a nostra disposizione è la saldatrice endorale. «Grazie ad essa è possibile effettuare all’interno del cavo orale vere e proprie strutture implantari», spiega Tramonte.

«Il fatto che gli impianti emergenti abbiano una parte che esce dall’osso, infatti, consente di collegarli tra loro, costituendo un blocco unico, invisibile dall’esterno e acquisendo elevata stabilità. «L’impianto assorbe e disperde perfettamente i carichi immediati, anche durante le fasi di guarigione e in presenza di carenza d’osso».

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