L’INTERVENTO

Gianfranco Fini ha tagliato la testa al toro e ha giustamente ricordato che gli aspetti negativi del fascismo non riguardano solo il 1938, l’anno delle leggi razziali, ma partono dalla presa violenta del potere, nel 1922-1923. Il documento di Fiuggi e ancor più l’ultima presa di posizione di Fini costituiscono un presupposto idealmente assai solido per la costituzione del partito del Popolo della libertà che è il punto d’incontro, su inequivocabili principi liberaldemocratici, riformisti, antifascisti, di chi viene dalle posizioni della destra democratica, da quelle dei cattolici-liberali o dei cattolico-sociali, dei socialisti-riformisti e dei liberali tout court. Queste aree politico-culturali costituiscono il retroterra di Forza Italia, di An e di tutte le altre forze che hanno dato vita alla lista che sotto la leadership di Berlusconi ha vinto le elezioni.
Non è accettabile che la sinistra si presenti come una sorta di superiore tribunale della storia. Infatti non possiamo dimenticare che per larga parte il fascismo fu provocato dal «diciannovismo» cioè dall’estremismo sconsiderato di massimalisti e comunisti (non a caso fu emarginato Turati e il suo progetto di «Rifare l'Italia» con le riforme). Il PcdI, nato dalla scissione dal Psi del 1921, perseguiva l’obiettivo della conquista armata e rivoluzionaria del potere che avrebbe dovuto portare alla «dittatura del proletariato» o meglio alla dittatura di un partito, e quindi aveva un’ipotesi contrapposta ma simile a quella fascista. Una volta preso il potere con la forza il fascismo ha dato vita a una dittatura che per di più nel 1938 ha approvato le leggi razziali e le ha crudelmente attuate.
Però tutta la ricerca storica non faziosa ha messo in evidenza che il regime fascista è stato sopravanzato sul terreno della violenza statuale da due regimi dittatoriali-totalitari, il nazismo e il comunismo che organizzarono sistemi di distruzione di massa, come i lager con i campi di sterminio che diedero luogo al «male assoluto» della Shoah e i gulag che provocarono la morte di milioni di persone per motivi di classe, di dissenso politico, di nazionalità e anche di razza. In una parte della sinistra c’è una notevole reticenza nel fare i conti con le dovute equiparazioni con queste parallele e contemporanee operazioni di criminalità politica e statuale. In un’altra parte - vedi il Pdci e un settore di Rifondazione - c’è tuttora un’adesione piena al cammino teorico ma anche a quello storico del comunismo. Queste componenti hanno fatto parte del passato governo, ma tutti si sono guardati bene dal sollevare alcun problema sulla loro adesione a un sistema caratterizzato da questa organica violenza politico-statuale. Forse che i lager sono «il male assoluto» e i gulag sono stati «un bene relativo»?
Infine va detto che certamente resistenza e antifascismo sono alle basi della riconquista della libertà nel nostro Paese. Non possiamo, però, pudicamente nascondere che ci sono stati un antifascismo liberal-democratico, il cui unico scopo era quello di sconfiggere il nazifascismo e di instaurare uno Stato democratico, e c’è stato un antifascismo-stalinista-comunista, che aveva per obiettivo successivo quello della conquista armata del potere e dell'instaurazione di una dittatura.
Dobbiamo al fatto che siamo stati liberati dall’esercito angloamericano e che Stalin a un certo punto prese atto dei rapporti di forza per cui suggerì a Togliatti la svolta di Salerno, se in Italia non c’è stata un'altra guerra civile. Non a caso la «rete secchiana» di chi affermava che la resistenza era rossa, e che era stata tradita, ha attraversato la storia d’Italia e ha costituito l’album di famiglia delle Brigate rosse.

Non sappiamo se esistano o no i termini di una storia condivisa, ma è certo che, proprio partendo dalla versione liberal democratica dell’antifascismo, essa non può certo basarsi sulla reticenza e sull’omertà.
*capogruppo del Pdl alla Camera

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