L’INTERVISTA NICOLA DI BARI

È appena tornato proprio dal Sud America, Nicola di Bari. Da una terra dove, racconta, «sono amatissimo». Motivo in più per rimanere sorpreso alla notizia che una sua canzone, Mia era stata messa all'indice dal regime dei militari al governo in Argentina fra il 1976 e il 1983.
Ne aveva mai saputo niente?
«Assolutamente no, anzi mi pare impossibile di essere stato censurato. Le mie sono solo canzoni d'amore...»
Ha qualche idea su come mai «Mia» potesse risultare così sgradita?
«Sarà proprio un pezzo e basta. In Argentina ci vado tutti gli anni, da sempre. Mia, rispetto alle altre canzoni del mio repertorio era un po' più... spinta, sanguigna. Ma certo non lascia pensare a situazioni politiche o a nulla di volgare, non c'è mai stato nulla del genere nella mia musica».
I brani censurati erano accusati di essere anti-occidentali o contrari ai valori cristiani.
«Macché. Era una canzone d'amore, e io sono un cattolico apostolico romano. Magari a loro sarà sembrata un po' spinta, ma anche durante il regime facevo tanti concerti in Argentina».
Quando l’ha saputo che cosa ha pensato?
«Mi sono sorpreso, ma poi ci ho riso su. La mia agenzia argentina non mi ha mai informato di nulla del genere. Anche perché Mia me la proposero loro, è un canzone argentina: un bolero, un tango. Non ebbe nemmeno il successo di altri pezzi. Ma anche “la maglietta fina” di Baglioni... perché censurarla? Il senso che le dava Claudio era poetico».
All'epoca lei faceva molte tournée in America Latina. Non le è mai stato vietato niente?
«Mai, ho sempre avuto piena autonomia.

Anche perché sono un po' il Carlos Gardel della mia generazione, in Argentina sono straordinariamente popolare. Anche adesso mi esibisco in Paesi come il Venezuela. In Sud America sono molto richiesto. Per questo sto preparando un cd di canzoni italiane da incidere in spagnolo».

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