L’ipocrisia pacifista

Mito scaccia mito, anche se le basi culturali restano simili. Un tempo c’era quello della Resistenza, oggi quello del pacifismo. Per mezzo secolo i discorsi ufficiali dei politici e degli intellettuali organici non mancavano di ricordare che il nostro Paese è nato dalla Resistenza, che il riscatto morale e civile degli italiani, dopo gli anni bui del fascismo, si deve alla Resistenza. Oggi questo appello ai valori resistenziali, che era diventato proprietà esclusiva della sinistra, non si sente più.
Passano gli anni e i veri e i presunti partigiani, che infiammavano i cuori nei comizi e nei pubblici dibattiti, sono quasi tutti morti. I giovani, si sa, sono sia refrattari ai ricordi, sia, complice la scuola, ignoranti, per cui se a qualche ragazzo dell’ultimo anno di studi si domanda cosa sia la Resistenza, potrebbe rispondere (non sto scherzando): «Non ci siamo arrivati con il programma, ci siamo fermati alla Prima guerra mondiale». Amen, Resistenza.
Naturalmente, e per fortuna, non tutti rispondono così, tuttavia nel nome della Resistenza non si mobilitano più politicamente i giovani e neppure gli anziani. Ecco allora che la sinistra, nella necessità di rimuovere il suo bagaglio ideologico, si appropria dell’idea di pace che diventa la parola d’ordine per nuove forme di aggregazione politica.
Il mito della Resistenza aveva perso la sua capacità di suggestionare il popolo di sinistra dopo il crollo delle ideologie e lo sfascio del comunismo, e ora nel pacifismo vengono affastellati concetti diversi e volutamente ambigui, dall’opposizione alla globalizzazione al sostegno dell’integrazione degli extracomunitari, dalla critica dell’imperialismo occidentale alla difesa dei palestinesi e dei Paesi islamici, dal boicottaggio delle coltivazioni geneticamente modificate alla battaglia per il multiculturalismo. Un coacervo di posizioni politiche e sociali che in realtà trova nell’attacco agli Stati Uniti il vero collante del pacifismo, che si ricollega così al vecchio mito della Resistenza, ormai usurato dal tempo, bandiera della sinistra contro il capitalismo, contro i borghesi, contro gli americani... E tuttavia con una dimenticanza clamorosa per la sua ipocrisia.
Quando, con molta enfasi, si diceva che la Repubblica italiana è nata dalla Resistenza, questo significava armi, sangue, morti... guerra, la più terribile delle guerre, quella civile, e significava anche che la libertà e la giustizia erano state conquistate con la violenza e il sacrificio della vita di molte persone.
Oggi i movimenti pacifisti inneggiano a una pace indifferente alla libertà e alla giustizia, valori che nessuna dittatura ha mai regalato al popolo. Non a caso, allora, i nostri pacifisti finiscono per preferire un Irak in mano alla belva Saddam piuttosto che un Irak che difficilmente, e grazie a una guerra, sta cercando la strada della democrazia. I pacifisti preferivano i talebani piuttosto che la lotta armata per dare al popolo afghano un minimo di libertà e giustizia. I pacifisti non amano Israele, Stato libero e democratico, mentre «comprendono» il terrorismo palestinese e quello degli hezbollah, e individuano sempre come occasione di confronto e scontro politico le situazioni in cui gli Stati Uniti sono coinvolti militarmente. E infatti nei pacifisti è difficile trovare una parola di condanna o un impegno che denunci i crimini nel Darfour, Congo, nel Tamil, in Kashmir... A loro questi massacri non interessano, non corrispondono alle loro esigenze di mobilitazione politica.
Qualche volta, però, cade anche la maschera dell’ipocrisia. A toglierla dal viso dei pacifisti è proprio un gruppetto di loro leader storici - Gino Strada, Francesco Caruso, don Alex Zanotelli, don Vitaliano - che hanno dichiarato di non aderire alla Marcia della pace di Assisi. Motivo? La marcia rischia di difendere l’intervento militare dell’Italia in Libano.

Insomma, per quei leader, c’è il rischio di inneggiare a una pace in cui ci debba essere anche giustizia e libertà per i popoli: atteggiamento pericoloso che potrebbe far capire ai giovani il ruolo decisivo delle democrazie europee e degli Stati Uniti nel difendere anche con le armi una pace giusta tra i popoli oppressi dalle dittature e dal fanatismo religioso.

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