L’Italia riparte, il fisco la frena

Avete presente cosa vuol dire prendere uno che ha avuto la broncopolmonite e che si sta riprendendo e metterlo al freddo dopo avergli fatto una doccia con l'acqua fredda? Grossomodo è l'equivalente di aumentare le tasse ai consumatori in un'economia che si sta riprendendo. È quello che sta accadendo in Italia. Né più né meno.
L'economia italiana, negli anni passati, ha preso il virus malato di un'economia internazionale che non funzionava. Questo malato è stato curato dal governo Berlusconi come ha potuto. Con una legge che alleggerisse quell'elefante che è il nostro mercato del lavoro e, non potendo diminuirle, almeno non aumentando le tasse.
Poi l'economia mondiale, europea, tedesca e - alla fine - italiana, hanno ricominciato ad ingranare. L'economia contiene molti misteri ma uno è più grande degli altri: come riparta il ciclo economico virtuoso. Certo, molto possono i governi ma l'economia va anche un po' per conto suo. Comunque, ormai, i segni di ripresa ci sono. Tant'è vero che le entrate fiscali sono aumentate e il governo Prodi si trova tra le mani un bel gruzzoletto di quasi venti miliardi di euro.
Nel bel mezzo di questa ripresa ecco la mannaia del trio Prodi, Padoa-Schioppa, Visco. Ora si può discutere in lungo e in largo su cosa possa essere utile fare per trasformare, come usa dire il ministro dell'Economia Padoa-Schioppa, questa ripresa (temporanea) in crescita (stabile). Cioè come aiutare il malato di broncopolmonite sulla via della guarigione (ripresa) a guarire in modo stabile e duraturo (crescita). Si può discutere. Quello che è certo e noto a tutti è che in questi momenti di transito dalla ripresa alla crescita quello che non si deve fare è aumentare le tasse.
Il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, lo aveva già detto in Parlamento qualche mese fa: questa Finanziaria contiene troppe tasse. Due giorni fa, a Torino, lo ha ripetuto: le tasse sono troppe e penalizzano gli onesti. Ma come se non bastasse, oltre alle tasse c'è anche quella grande tassa che grava su tutti i lavoratori e che si chiama «pressione contributiva», quello che chi lavora oggi paga per chi oggi è in pensione.
Ora ci si mette anche Draghi, penserà il professore bolognese. Tasse e pensioni. Non bastava la maggioranza degli italiani, non bastavano praticamente tutti gli istituti nazionali e internazionali a dire che i conti non tornano, non bastavano tutte le categorie produttive, non bastava una calcolatrice qualsiasi (anche una vecchia Olivetti). No, anche il governatore della Banca d'Italia, quello che tutte le settimane avrebbe dovuto vedersi con Padoa-Schioppa (ricordate?) per procedere di pari passo nel risanamento delle finanze pubbliche e nel rilancio del Paese. Dopo le prime volte Draghi deve avere rapidamente capito che l'economia c'entrava poco e che il problema di Padoa-Schioppa era come fare qualcosa che tenesse in piedi il baraccone. E, visto che le risorse non gli mancano, il tè se lo sarà preso, da solo, a Palazzo Koch.
Salvo che Prodi non pensi che avere scontentato anche Draghi non sia la dimostrazione che la sua Finanziaria vada bene. Potrebbe anche essere.


Ma ragionando in termini normali tutto questo significa che la cosa che di doveva fare non si è fatta e questo è un gran male per la nostra economia che avrebbe potuto sfruttare questo momento favorevole se a 3 cittadini su 4 il fisco non avesse ulteriormente messo le mani in tasca. Commettendo, se a qualcuno interessa ancora, anche un atto di profonda ingiustizia fiscale nei confronti dei cittadini onesti.

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