Ignazio Mormino
Dopo i quarantanni, 23 donne su cento sono colpite dallosteoporosi, cioè da una rarefazione della massa ossea che può provocare gravi fratture (la più temibile è quella del femore, che porta molto spesso allimmobilità). Questa percentuale raggiunge il 50 per cento dopo i sessantanni.
Lo scenario è dunque preoccupante. Come ha rilevato il professor Pierre Delmas, presidente della Fondazione internazionale per losteoporosi, questa malattia «colpisce dieci volte più del carcinoma mammario». Non a caso, lOrganizzazione mondiale della sanità lha dichiarata «malattia sociale».
A Roma, nei giorni scorsi, il professor Renato Mannheimer ha presentato una ricerca condotta in tutte le regioni italiane su 1.620 donne ultracinquantenni. Ecco alcuni risultati: le più informate sullesistenza (ma non sempre sui rischi) di questa patologia sono le donne del Centro Italia, le meno informate quelle del Sud: non si difendono.
Un esame semplice e non invasivo - la Mineralometria ossea computerizzata (Moc) - può rivelare subito se si corre il rischio duna lenta ma continua perdita della massa ossea. Una terapia iniziata in quello stesso momento può prevenire i danni, cioè le fratture (del femore, delle vertebre, del polso, del bacino) che sono quasi sempre devastanti.
A questo esame diagnostico che potrebbe «salvarle» ricorrono soltanto dieci donne italiane su cento. Le altre minimizzano (sostiene Mannheimer: «È diffuso un certo fatalismo»). «Spesso la donna si rende conto dessere osteoporotica quando una prima frattura la mette di fronte alla realtà», sostiene il professor Sergio Ortolani dellIstituto auxologico italiano. «In quelle condizioni» aggiunge «corre il rischio davere in tempi brevi altre fratture».
Per le donne che vogliono evitare il peggio, oggi un rimedio cè. Si tratta di un bisfosfonato per via orale (nome chimico: ibandronato) che basta assumere una volta al mese. Questo principio attivo riduce del 62 per cento il rischio di nuove fratture, minimizzando gli effetti collaterali. Uno studio internazionale condotto lanno scorso su un campione femminile molto vasto ha accertato che «le pazienti offese da osteoporosi post-menopausale preferiscono la terapia mensile a quella settimanale.
La professoressa Maria Luisa Brandi, cattedratica dellUniversità di Firenze e presidentessa della Società italiana osteoporosi, aggiunge che le terapie, per essere efficaci, non devono mai essere interrotte. Ed è per questo motivo che un farmaco che viene assunto una volta al mese è preferito.
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