L’ultima di D’Alema: Italia a rischio nazismo

Il Pd è a pezzi ma il líder Maximo annuncia la caduta del berlusconismo: "È arrivato alla sua fase estrema". Poi lo scenario apocalittico: "Il declino non sarà lineare, vedo condizioni simili a quelle degli Anni Trenta". Da Togliatti alla Serracchiani... Dì la tua sul blog

L’ultima di D’Alema: Italia a rischio nazismo

Arriva il líder Maximo e dovrebbe dettare la linea, invece evoca l’apocalisse: il nazismo dietro l’angolo, il discredito della nazione, l’umiliazione che colpisce di primo mattino, quando si è più fragili e indifesi e tocca affrontare i giornali stranieri, il senso tragico della decadenza che incombe, la percezione della fase estrema del berlusconismo, anche un tantinello di Sodoma e Gomorra. Deve essere difficile, doloroso, chiamarsi Massimo D’Alema oggi e trovarsi a parlare della crisi, questa sì estrema, del Partito Democratico, attaccando il leaderismo e difendendo gli apparati, chiedendo a gran voce un’altra riformina cosmetica del partito ma conservando l’esistente, volando alto, altissimo, mentre fa una guerra spietata al segretario e tenta di bloccare il terzo aspirante candidato, citando Le Monde, lui che da comunista in un oplà si è vestito di nuovo senza uno sguardo critico al suo passato, accusando il Minzo, nel senso del direttore del Tg1, di fare un giornale sovietico. Che fantastica, straordinaria faccia tosta, un maestro di dissimulazione, trasformazione nel contrario, rimozione, arroganza e autoassoluzione, che fa quasi quasi invidia agli anni 50 di togliattiana memoria. Sullo sfondo del discorso tenuto ieri al convegno campeggia naturalmente il solito intemerato menefreghismo per quel che gli italiani pensano, decidono, votano. In questo Massimo D’Alema ha assunto tutti i vizi della classe dirigente fallita più recente della sinistra.
La cronaca. «Oggi ci troviamo in una fase estrema del berlusconismo. Estrema come massima espressione del suo potere personale, ma anche del suo declino». D’Alema spiega che «è difficile immaginare come lineare questo passaggio. Proprio per questo ho detto che avverrà non senza delle scosse, ma non è che annunciavo chissà quali eventi, la mia era soltanto analisi politica».
Certo, si intuisce che l’ex premier - fu una breve stagione ma per lui non ha eguali - non ha nessuna intenzione di parlare della sua personale di scossa, quella delle cinque inchieste per corruzione e ruberie varie nel suo feudo barese.
Ben altri foschi scenari intende evocare: «Questo ciclo di liberismo antipolitico sta finendo, ma la fine dell’egemonia liberista non vuol dire la fine dell’antipolitica. La fine di questo ciclo sfocia a sinistra negli Usa, mentre in Europa sembra prevalere una nuova destra nazionalista e populista. Ci ricorda la grande crisi degli anni Trenta, quando c’era il New Deal dall’altra parte dell’oceano e in Europa cresceva l’antisemitismo, il nazionalismo... Non voglio dire che siamo alle porte del nazismo, ma molti ingredienti sono simili».
Ora, se vogliamo fingere che il presidente degli Stati Uniti, il quale può essere legittimamente ritenuto uno statista all’altezza o no, e io sono tra quelli che pensano di no, ma penso anche che sono fatti che riguardano anzitutto gli americani, se vogliamo fingere che Barack Obama sia un uomo di sinistra, allora possiamo anche agevolmente credere che gli asini volino, e alzare fiduciosi gli occhi al cielo. Possiamo credere che l’offensiva in Afghanistan, massiccia come gli Stati Uniti non ne lanciavano dai tempi del Vietnam, sia frutto di una decisione pacifista, in contrapposizione feroce con i metodi di quel belligerante maniaco che era George W. Bush. Anche i bombardamenti che beccano per disgrazia i civili, se li ordina un presidente ritenuto di sinistra, sono meno gravi, ed Emergency può tacere. Ora, se vogliamo credere che i governi liberali e moderati eletti in un’Europa che affronta la crisi economica e l’invasione di un’immigrazione spesso ostile, siano prodromi di nazismo e di antisemitismo, inutile mandare i figli a scuola esigendo rigoroso studio di libri di storia, perché ci sarà sempre uno che monta su un palchetto e dice sciocchezze senza fondamento né radice. Può, per battaglia politica aspra che sia, un dirigente di lungo corso, che si sente perfino statista, ricorrere a tanta pochezza?
Finalmente a Massimo D’Alema è toccato anche parlare delle dolenti note, ovvero del fatto che, sarà un premier licenzioso, saranno gli italiani fessi, certo è che al Partito Democratico le cose vanno reiteratamente molto male. Bene, dopo le evocazioni fosche, passiamo ai bizantinismi, e chi ci capisce qualcosa alzi la mano.
I pericoli del partito che hanno portato «alla rapida successione delle rovinose sconfitte dell’ultimo anno e mezzo» sono «leaderismo e plebiscitarismo» ma «senza fare un’analisi seria» finisce che le sconfitte vengono interpretate «come frutto di un complotto interno, della barbarie interna, degli apparati: così il confronto si avvelena».

Per D’Alema è necessario prendere atto «della lezione della storia, del fatto che il Pd non ha raggiunto il 40% di cui parlava Scalfari perché se il ragionamento è che non abbiamo vinto le elezioni a causa degli apparati cattivi che hanno complottato contro lungo questa strada, si finisce male».
Sul fatto che si finisce male, siamo finalmente d’accordo.

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