Roberto Scafuri
da Roma
Se aveva ragione Lord Attlee, la democrazia significa governare con la discussione a patto che a un certo punto si riesca a far smettere la gente di parlare. Quel giorno dunque lUnione avrà la sua linea di politica estera. Al momento, nisba (e neppure il governo).
Alla fine della solita giornata dellUnione sul ritiro delle truppe dallIrak, si è dovuto apprendere da una lunga nota del portavoce di Romano Prodi, Ricardo Levi, che in queste ore si medita e si stanno valutando «i modi migliori per rendere chiara e comprensibile la nostra linea politica. Vedremo se presentare un documento è la forma migliore... ». Lunedì è previsto il classico vertice dellUnione e lunico punto unitario (almeno nellentourage prodiano) sarebbe quello di non cadere nella «trappola» della Cdl, che sfrutta le divisioni. Levi ci spera: «Tutti sono consapevoli del valore dellunità e che obbligare ogni sei mesi un Parlamento a votare la stessa missione è opportunismo politico della maggioranza». Ma aveva già cominciato ieri laltro, il capo della Margherita, Francesco Rutelli. No alla missione in Irak, ma gran voglia di dimostrare (a parole, per carità) che lUnione saprebbe uscire dalla trappola irachena conservando i piedi anche nelle scarpe americane.
Il dalemiano Peppino Calderola ieri mattina dimostrava che la gran voglia di capra e cavoli non era confinata nellarea della Margherita rutelliana. «Sono per unexit strategy concordata piuttosto che per una soluzione drastica di ritiro immediato delle truppe», diceva. E in serata Piero Fassino liquidava il ritiro immediato così: «Restare o non restare in Irak» è ormai una discussione «stantia e vecchia». Il punto è se «l'Italia è pronta a contribuire a una nuova strategia complessiva» contro il terrorismo. Risposta di Maura Cossutta (Pdci): «La nostra exit strategy è il ritiro immediato delle truppe». Controrisposta di Fassino ai militanti: «Tranquilli, voteremo no al rifinanziamento». Nel frattempo, Bertinotti aveva riconfermato la linea ufficiale, perché la «spirale guerra-terrorismo è senza sbocco», e quello dei verdi, Pecoraro Scanio, aveva proposto di spendere i soldi della missione in Irak per «gli 007 antiterrorismo».
Doppio vantaggio dei pro exit (strategy). Il socialista Villetti proponeva lastensione se il governo prometterà «unexit strategy convincente»; Di Pietro ribadiva che «non basta dire no, serve una proposta alternativa». Il dl Franceschini insaccava: il no alla missione sia «accompagnato da un documento del centrosinistra che indichi una possibile strategia di uscita da quel Paese... ». Il comunista Diliberto accorciava le distanze: «Allora presenteremo un ordine del giorno per il ritiro delle truppe». Pecoraro di supporto: «Bisogna evitare la moltiplicazione dei documenti, il no sia unitario e si eviti il teatrino». Il ds Chiti rimetteva la palla al centro: «Una forza di governo deve dire che cosa fare per lIrak, va bene un odg dellUlivo... ». Il ds Mussi era pronto nel tackle: «Quello che conta è il no alla missione, che resta agli atti. Ma accompagnare la votazione con documenti lo trovo rischioso, si potrebbe aprire una disputa sulle parole». Il ds Crucianelli al raddoppio di marcatura: «LUnione non cambi posizione, aprire una discussione farebbe tornare le antiche divisioni». Mentre il ds Ranieri cincischiava a centrocampo («sarebbe importante che il governo affermasse che si procederà al ritiro dopo le elezioni in Irak»), lintervento deciso di Fioroni (Dl): «Il no alla missione non vuol dire ritiro immediato».
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