L’«uscita» di Chirac tradisce nervosismo (e anche l’Europa)

Egidio Sterpa

È francamente strano che quanto accaduto a Bruxelles al summit dei venticinque capi di governo dell’Unione europea abbia avuto sulla nostra stampa molte cronache ma pochi giudizi critici. Forse anche qui ha prevalso l’ostilità tutta casalinga verso Berlusconi, al quale addirittura è sembrato che si volesse rimproverare di non aver reagito duramente all’arroganza di Chirac. Scrive, per esempio, Il Riformista: «Tra i rarissimi commenti da Roma, quello del ministro degli Esteri Fini, che ha interpretato l’atteggiamento di Chirac “sulla difensiva”». Berlusconi non poteva che essere «diplomatico», tanto che ai giornalisti che lo solleticavano era costretto a rispondere: «Io non ho più nulla da dire, a meno che non vogliate che dichiariamo guerra alla Francia».
Ciò che è accaduto a Bruxelles, in effetti, è di una gravità senza precedenti in ambito europeo. Il presidente francese s’è prodotto in uno show insolito e irritante, da «difensore spropositato della grandeur». Bersaglio, l’Italia e il suo governo per l’Opa che l’Enel avrebbe voluto lanciare sul gruppo franco-belga Suez. S’è visto uno Chirac nervoso, che ha abbandonato bruscamente lo stile di eleganza e signorilità tante volte ostentato, mostrando invece grossolana e boriosa superiorità da esasperato nazionalismo d’altri tempi. Fatto è che monsieur le Président ha sciorinato tutto il peggio del nazionalismo gallico. Se l’è presa dapprima con un suo compatriota, l’ex presidente della Confindustria francese, Ernest Antoine Seillière che, parlando in inglese, sottolineava che il «patriottismo economico» finisce per bloccare lo sviluppo delle aziende. Lo ha così apostrofato: «Perché lei non parla francese?», ricevendo come risposta: «Perché l’inglese è la lingua del business». Al che Chirac si è alzato e ha abbandonato la riunione, seguito subito dopo dai suoi ministri.
È stata poi la volta dell’Italia. L’Opa dell’Enel è stata definita «ostile», ha contestato l’accusa di «protezionismo» rivolta alla Francia, definendo «osservatori molto superficiali» coloro che l’hanno pronunciata, aggiungendo che chi la sollevava lo faceva «a vanvera» e «in malafede», meritevole d’essere mandato «a scuola». Come ultima offesa ha definito l’operazione italiana da «bancarella degli ambulanti». Tutta questa raffica gallica potrebbe essere liquidata come manifestazione di nevrastenia d’un uomo che ormai pare non avere più un futuro politico in Francia. Il «regno» di Chirac viene dato alla fine e da qui queste esibizioni eccitate. In Francia circola una biografia, scritta da Franz Olivier Giesbert, che ha un titolo significativo: La tragédie du Président.
Il «patriottismo economico» di Bruxelles è certamente sollecitato dalle difficoltà in cui il governo chiracchiano è immerso. Non gliene sta andando bene una: la situazione economica non è brillante, e anche quella sociale sta diventando pesante. E qualche dispiacere viene anche nel sentirsi isolato in Europa a causa dell’allentamento dell’intesa con la Germania. La Kanzlerin Angela Merkel non è Schröder. Ma quel che più conta è che questa ondata sciovinista francese si ripercuote sull’Europa, in un momento peraltro di debolezza della dirigenza comunitaria.

Dov’è più la carica propulsiva dell’europeismo di De Gasperi, Adenauer e Schuman? L’Europa dei popoli è decisamente in declino e quella economica e politica si allontana sempre più. Il sogno della nostra giovinezza sta svanendo.

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