Sul bavero della giacca aveva appuntato una sorta di spilletta con su scritto «Non sono dottore», stanco del solito gergo dei cinematografari romani per cui il regista era sempre «dottò». Lui che non aveva neppure conseguito il diploma visto che gli esami di maturità all'Istituto nautico San Giorgio di Genova, città dov'era nato e cresciuto, Pietro Germi non si era mai presentato. Una lacuna che non gli aveva impedito di frequentare il Centro sperimentale di cinematografia a Roma e diventare uno dei più brillanti registi del dopo guerra. Un successo dietro l'altro, come sarebbe stato anche il suo «Amici miei» se la morte non l'avesse stroncato il 5 dicembre 1974. La pellicola fu poi affidata a Mario Monicelli che la trasformò in un fenomeno epocale.
Domenica 6, in occasione dei 35 anni della scomparsa, La7 rende omaggio al grande autore, per anni misconosciuto da una certa critica perché non abbastanza di sinistra. Soprattutto quando nel 1956 «Ferroviere» interpreterà lui stesso un lavoratore che, inaudito, si rifiuta di scioperare oppure due anni dopo un'operaio adulterio in «L'uomo di Paglia». Scriveva Umberto Barbaro: «Cari amici, a me questi operai di Germi che si comportano senza intelligenza e senza volontà, senza coscienza di classe e senza solidarietà umana - metodici e abitudinari come piccoli borghesi - la cui socialità si esaurisce in partite di caccia domenicali o davanti ai tavoli delle osterie - che non hanno né brio né slanci, sempre musoni e disappetenti, persino nelle cose dell'amore - che ora fanno i crumiri e ora inguaiano qualche brava ragazza, spingendola al suicidio - e poi piangono lagrime di coccodrillo, con le mogli e dentro chiese e sagrestie - questi operai di celluloide, che, se fossero di carne ed ossa, voterebbero per i socialdemocratici e ne approverebbero le alleanze, fino all'estrema destra, non solo sembrano caricature calunniose ma mi urtano maledettamente i nervi».
Invece Germi fu regista finissimo, feroce fustigatore dei costumi di un'Italietta democristiana come dimostrò in «Divorzio all'italiana» del 1961, dove un cinico siciliano Marcello Mastroianni spinge la moglie nella braccia dell'amante per poi sorprenderla, ucciderla e quindi convolare a giuste nozze con una giovanissima Stefania Sandrelli. Sempre la Sandrelli tornerà in «Sedotta e abbandonata» del 1963, una giovane siciliana ripudiata dal fidanzato perché ha concesso subito la «prova d'amore». Per concludere il trittico con «Signore & signori» nel 1965 sapido ritratto dell'ipocrito Vento.
Un vero maestro che verrà raccontato in «Pietro Germi il bravo, il bello, il cattivo», scritto da Manuela Tempesta e diretto da Claudio Bondì, in onda su La7 domenica 5 dicembre alle 14. La narrazione è sorretta dalle testimonianze dei più cari collaboratori, amici e familiari del regista e ripercorre tutte le tappe fondamentali della vita e dei successi cinematografici di Germi. Oltre al materiale di repertorio delle Teche Rai, a spezzoni dei suoi film, ai racconti dei protagonisti del cinema di Germi, sono presenti materiali inediti e restaurati per l'occasione. La giornata dedicata al regista genovese proseguirà alle 16 con «La Presidentessa» (1952) interpretato da Silvana Pampanini, Carlo Dapporto e Ave Ninchi, proseguire alle 18 con «Il Ferroviere» per finire alle 20.30 con «Signore e Signori» con Virna Lisi e Gastone Moschin e vincitore del Grand Prix per il miglior film al 19esimo Festival di Cannes. «Signore e Signori» sarà il protagonista della puntata de «La Valigia dei Sogni», il programma di approfondimento cinematografico condotto da Simone Annicchiarico che porterà i telespettatori sui luoghi dei film che hanno fatto la storia del cinema italiano.
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