L'America di Andy Warhol tra sogni e aforismi

Esce per la prima volta in Italia un volume di scritti del padre della Pop art sugli Stati Uniti, attraverso parole e immagini

L'America di Andy Warhol tra sogni e aforismi

«L'idea di America è meravigliosa: più una cosa è uguale più è americana». A scrivere queste parole è una delle figure più controverse e trasgressive della cultura moderna Andy Warhol, il padre della pop art, nato a Pittsburgh nel 1928 e morto a New York nell'87. Figura internazionalmente nota per alcuni indimenticabili capolavori dell'arte moderna (si ricordi solo come esempio il volto di Marilyn Monroe immortalato multicromaticamente, oppure la Campbell soup con la storica lattina di zuppa a simboleggiare la commerciabilità dell'arte) Warhol, che di origini era slovacco come indica il suo vero cognome Warhola prima di essere americanizzato, è stato autore anche di alcuni importanti scritti fino ad oggi tenuti in secondo piano rispetto alla sua produzione artistica.
Una parte di quella prosa, in particolare quella riguardante gli Stati Uniti, vede oggi la pubblicazione in un volumetto agile corredato di foto in bianco e nero, che racchiude una parte degli scritti del celebre autore novecentesco. Si tratta di una prima italiana visto che fuori dai nostri confini quest'opera aveva già visto la luce con successo. «America», questo il titolo del libro (Donzelli editore, pp. 102, euro 15,50), è un racconto parallelo per immagini e parole, uno straordinario viaggio nel mondo della cultura pop.
L'America di Warhol è infatti un'infinita galleria di personaggi, idee, stereotipi, azzardi, è la culla del divismo con tutte le sue proiezioni iconiche che si ricollegano a un mondo in parte reale e in parte costruito. L'America di Warhol è il tutto e il niente, è ciò che risiede come idea in fondo all'animo umano e al contempo è l'affermazione di un desiderio, la constatazione di vedere applicato un proprio teorema ideale, la volontà di un gesto di rottura. Ecco perché «tutti hanno una propria America, tutti hanno frammenti di un'America immaginaria che credono esista ma che non possono vedere».
La leggibilità di questo agile testo è accentuata e resa più familiare al lettore proprio dal gusto dell'aforisma che Warhol usa generosamente, senza risparmiare paradossi e sentenze dal sapore saggio.
Come il giudizio sul ruolo dei media: che «possono trasformare chiunque in una persona dimezzata e possono spingere chiunque a pensare che dovrebbe provare a diventare una persona dimezzata». O su quello della morte: «Morire è la cosa più imbarazzante che può capitarti perché qualcuno deve occuparsi di tutto ciò che ti riguarda». O infine la rielaborazione di un vecchio detto («l'abito non fa il monaco») applicato allo star system dello spettacolo, in America sentito come e forse più che in qualsiasi altro Paese. «L'industria dello spettacolo serve proprio a questo: a provare che quel che conta non è ciò che sei ma ciò che credono tu sia».
È l'epigrafe, forse, di quell'America che nasce dal sentimento, una magia che si accende al primo approccio e non molla mai chi vi si avventura.

Non per niente lo stesso concetto che Warhol sintetizza in un'altra delle perle che ci regala in questo libro: «In America tutto comincia con uno stato d'animo». Lo stesso che ci avvolge per tutta la durata di un libro che scorre nella mente del lettore come un lungo sogno aiutato dalle immagini demodé in bianco e nero.

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