La signora Harris è un'invisibile. Una dei tanti lasciati nelle pieghe del disinteresse da un mondo snob che qui fa rima con moda e ricchezza. È una colf e i ricconi faticano a pagarla ma quando scopre in un armadio uno stupendo abito Dior se ne innamora e comincia a studiare come ottenerne uno. Vedova e sola, gioca perfino ai cavalli finché non s'imbarca su un volo per Parigi. Arriva all'ambita maison e pure qui trova un altro naso altezzoso. È quello della direttrice (Isabelle Huppert) che fa di tutto per lasciarla ai margini. Invece, come per ogni cenerentola che si rispetti, la vita prende una piega diversa.
Sembra paradossale ma è così. La signora Harris va a Parigi è una stupenda favola natalizia pur senza essere un film di Natale. Sta a metà strada tra la dama dalla scarpina controversa e una Mary Poppins da terzo millennio ma forse il pregio maggiore di questo film - semplice ma tutt'altro che banale - sta nel saper parlare di moda senza lasciarsi trasportare dalla febbre delle passerelle. Non inneggia al consumismo ma ai buoni sentimenti. Non rinuncia a un gustoso umorismo British che rende briosa e deliziosa la commedia e brillante la sceneggiatura.
Non solo. La classe operaia che va in paradiso non è più l'ascesa rivoluzionaria del solito ribelle che punta a sovvertire l'ordine sociale bensì il legittimo coronamento di un sogno, simboleggiato da un abito. Un segno dei tempi, insomma. E pure di ciò che oggi attira e fa status. Perché la moda non è più solo la frontiera irraggiungibile del benessere ma perfino un linguaggio cinematografico, evidente ed espressivo come l'abbondanza di titoli che portano stile e défilé sul grande schermo.
Adattamento di un romanzo di Paul Gallico, autore cult del regista, Anthony Fabian crea un'opera multiforme in cui il cuore grande della piccola signora Harris riesce a soccorrere il destino piccolo della grande modella Dior. Un ribaltamento di piani che è una speranza. Quella che, in fondo, tutti ce la possano fare. Anche partendo dal gradino più basso.
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