L'appello: caro Cavaliere, lasci stare Tremonti

Far fuori il ministro sbilancerebbe il governo. Ha fatto errori ed è antipatico, ma è competente e affidabile

L'appello: caro Cavaliere,  
lasci stare Tremonti

Caro presidente, lasci stare Tremonti, la sup­plico. Ha un carattere insopportabile, ha fatto come tutti molti errori, le fa personal­mente venire l’orticaria, l’idea di scaricare su di lui l’ondata di antipatia fiscale che oggi si indi­rizza sul governo è una di quelle tentazioni alle quali è difficile re­­sistere, e lei, come Oscar Wilde, a tutto sa resistere tranne che al­le tentazioni. Tuttavia non è sag­gio anche il solo pensare di far fuori il ministro dell’Economia, non è prudente, non è una mossa tempestiva.

Sia perché il suo mini­stero deve a Tremonti un qualche ordine possibile nei conti sbal­lati ricevuti in eredità da una lun­ga storia sia perché l’onda d’urto di crisi e speculazione è molto for­te in questo momento, e un crac politico nella direzione dell’Eco­nomia e delle Finanze sbilance­rebbe forse definitivamente il go­verno, provocherebbe un trambu­­sto di cui a profittare, alla fine, non sarebbe né il suo progetto di finire la legislatura in sella né quel che resta, agli occhi degli italiani e de­gli europei, della sua capacità di incollare una maggioranza senza alternative di governo.

Casini fu cacciato alla vigilia del­le ultime elezioni politiche. Le dis­si e scrissi a quel tempo, con la mia solita petulanza ammonitrice, che era un bell’azzardo. I motivi c’erano, la forza dirompente della sua offensiva contro il governo Pro­di permetteva in teoria l’elimina­zione del residuo democristiano che era attaccato da sempre alla co­alizione di centrodestra. Poteva certo nascere da quel gesto estre­mo un rilancio delle riforme libera­li tanto attese e sempre eluse, ma poteva più verosimilmente deriva­re, dalla cacciata in corsa di Pierfer­di e della sua insopportabile com­briccola centrista, una ridotta ca­pacità di mediazione sua e di palaz­zo Letta alias palazzo Chigi. Mi permisi di dirle e di scrivere che Letta, con la sua maestria di go­verno, si sarebbe trovato maluccio tra Tremonti e Maroni, senza il pat­tuglione democristiano che da sempre lo aiutava nelle famose triangolazioni della politica, di ogni politica nelle repubbliche par­lamentari. E così è andata. Il con­trocanto di Fini presidente della Camera nacque anche da questo indebolimento,e l’esplosione del­la faida degli ex di An nel Popolo della libertà e nel governo la condi­zionò pesantemente e le impose due anni di lotta intestina che fini­rono con la perdita virtuale della maggioranza e il suo recupero af­fannoso, in un clima di sempre maggiore isolamento e indeboli­mento della sua leadership politi­ca. Anche in quel caso sarebbe sta­­to saggio recuperare, ricucire, tron­care, sopire, e contrattaccare con buone idee di riforma, triangolan­do con l’opposizione per uscirne più forti, spiazzando il paese, go­vernando con fantasia e senza per­dere tempo con le guerre interne. Una legittimazione con qualche prezzo da pagare del controcanto di Fini non avrebbe potuto che far­le del bene, altro che Lavitola e Sci­lipoti.

Ora con Tremonti lei si sta espo­nendo a un altro azzardo persona­le, umorale, caratteriale, di quelli che piacciono ai suoi tifosi e in fon­do anche a me, perché Berlusconi è il privato alla guida dello Stato, è una certa indifferenza verso le tec­niche della politica. Ma senza esa­gerare, presidente. Esagerare è il suo verbo preferito, la sua mania e la sua grandezza, ma nel paese si affollano i rischi, e il rischio Tre­monti è troppo grosso, qualun­que sia la soluzione di ricambio. Lenin diceva: meglio meno ma meglio. A volte in politica bisogna limitarsi, essere un po’ minimali­­sti, fronteggiare gli avversari che ci sono senza crearne continua­mente di nuovi. E queste cose lei le sa, per istinto e ormai per espe­rienza.

Metta dunque la sordina alle po­lemiche galoppanti, e agli specu­latori di ogni tipo che le alimenta­no nell’establishment e a sinistra, deluda magari un po’ i suoi soste­nitori più accaniti, ma metta giù le mani dal ministro dell’Economia. Tremonti non è il governo, è un pezzo del governo, ed è sottopo­sto per legge a una disciplina che le conferisce il potere di dirigerlo.

Si è anche molto indebolito nei rapporti altalenanti con la Lega, e tutto sommato è una persona competente e in un certo senso af­fidabile. Glielo dico, mi consenta, da servo emancipato, da liberto, da amico, da italiano, quello che preferisce: quest’ultima alzata di ingegno è meglio che se la rispar­mi.

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