Milani e Lundini, Capatonda e Guzzanti. Ecco gli eredi dei venerati maestri

L'assurdo "alla Campanile", il situazionismo spiazzante, i personaggi "catartici" e i finti trailer sono la nuova frontiera di chi sa graffiare senza blandire

Milani e Lundini, Capatonda e Guzzanti. Ecco gli eredi dei venerati maestri

Gaio Fratini, che era un vero scrittore satirico, pagò cara la sua indipendenza: finì con la legge Bacchelli, ottenuta grazie all'intercessione di Vittorio Sgarbi. Lui, che era stato l'anima del Caffè di Giambattista Vicari, la longa manus di Livio Garzanti a Roma, l'amico e consigliere di altri assi dimenticati, come il grande Antonio Delfini. Fratini compilò un'antologia di epigrammi satirici, La rivolta delle muse. Epigrammi d'Italia (Vallardi, 1994). Vista la data? Un attimo prima della trasformazione del comico in tribuno della plebe in funzione politica di contrasto al centrodestra, una stagione umiliante per la satira, con gli artisti (o sedicenti tali) ridotti a camerieri del potere mediatico e culturale, fortemente sbilanciato a sinistra. Volete un epigramma di Fratini? Eccolo: «Al sommo derby della Nostalgia/ il Predappio sul campo del Salò/ Invitati speciali Bocca e Fo».

Gli scrittori erano spietati. Basta dare un'occhiata agli epigrammi di Pier Paolo Pasolini, pubblicati, non a caso, sul Caffè. Il critico cinematografico Gian Luigi Rondi stroncò Accattone e il poeta-regista rispose in rima: «Sei così ipocrita, che come l'ipocrisia ti avrà ucciso,/ sarai all'inferno e ti crederai in paradiso». Invece oggi il cretino è pieno di idee, come chioserebbe Ennio Flaiano. Quindi il cretino satirico si specializza nel combattere battaglie che, alla fine, sono sempre quelle del politicamente corretto. Si mette sempre dalla parte dei «buoni», facendo finta di essere scomodo. In tv e sui giornali dominano i comici della trasgressione consentita, i battutisti di regime, i rivoluzionari con la pensione, gli indignati un tanto al chilo d'oro, i moralisti della domenica, gli eterni perseguitati da nessuno, i giullari fedeli alla linea, i censurati immaginari, i contestatori del libero mercato con il codice a barre stampato in fronte, i fustigatori di indifesi o indifendibili, insomma gente che racconta mediocri barzellette a senso (politico) unico. Fanno penose imitazioni dei leader di partito, disegnano vignette verbose e vengono intervistati come fossero laureati in scienze politiche. Ovviamente ripetono le solite banalità: la destra vince perché il popolo è ignorante, il fascismo è ormai alle porte, la sinistra non è abbastanza di sinistra e così via.

La satira poi non è solo politica. Marcello Marchesi ha toccato tutte le corde. Sociale: «La rivoluzione si fa a sinistra, i soldi si fanno a destra» o «La legge è uguale per tutti. Basta essere raccomandati» o «Mangiate merda, milioni di mosche non possono sbagliare». Esistenziale: «Due parallele si incontrano all'infinito, quando ormai non gliene frega più niente». Quest'ultimo aforisma è sublime. Fa ridere ma ti gela anche il sangue nelle vene.

Spiritosissimo era Leonardo Sciascia, anche quando non si occupava di mafia o partitocrazia. Il suo diario, Nero su nero (Einaudi, 1979) è una miniera di ironia e sarcasmo. La questione del fascismo di ritorno, ad esempio, la affrontava così: «Il più bello esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere (...) è quello del sedicente antifascista, unicamente dedito a dar del fascista a chi fascista non è». Come Flaiano, Sciascia era affascinato da una specie umana in particolare: «Dei cretini intelligentissimi. Sembra impossibile: ma ce ne sono».

Chissà che spazio potrebbe trovare oggi Leo Longanesi, autore di battute brucianti. Forse nessuno. Infatti i suoi libri, in versione cartacea, si trovano con difficoltà. D'altronde quando apriva bocca, il «carciofino sott'odio» gettava sale sulle ferite degli italiani. Esempi: «Tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola» o «Vissero infelici perché costava meno» o «Alla manutenzione, l'Italia preferisce l'inaugurazione». Il più cattivo con gli italiani però era stato Curzio Malaparte: «Se il cuore è forte e il sangue è rosso e cupo/ anche in Italia l'uomo all'uomo è lupo./ Oggi che il sangue è giallo e il cuore inerme,/ anche in Italia l'uomo all'uomo è verme».

Questo pezzo non è una laudatio dei tempi antichi (solo un po'). La satira esiste ancora. Qui a fianco ne avete un esempio «militante», ma come non amare uno scrittore vero come Maurizio Milani? Scommettiamo che sarà ricordato a fianco degli Achille Campanile, meglio valutarlo ora che rivalutarlo da morto (facciamo ovviamente gli scongiuri). Ci sono poi il situazionismo pacato ma crudele di Valerio Lundini o i personaggi «catartici» di Corrado Guzzanti o i finti trailer di Maccio Capatonda. Senza contare che il mondo è a portata di clic e si può sempre guardare la stand up comedy di comici del calibro di Ricky Gervais, regolarmente nei guai per il suo humour nero. Non fa eccezione il recente Supernatural, disponibile su Netflix, finito nel mirino per una serie di battute come questa: «Non si può prevedere cosa sarà offensivo in futuro. Non puoi predire quale sarà la mafia dominante. Tipo la cosa peggiore che puoi dire oggi, per la quale vieni cancellato su Twitter e minacciato di morte, è le donne non hanno il pene, giusto? Nessuno se lo sarebbe aspettato.

Non ti capiterà mai di leggere un tweet di dieci anni fa con scritto le donne non hanno il pene semplicemente perché nessuno pensava che a un certo punto ci sarebbe stato bisogno di specificarlo».

Dunque, non è che manchi la satira. Sono la televisione e i grandi giornali a insistere sugli stessi nomi, bolsi e scontati ma disposti a piegarsi volontariamente a fare propaganda.

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