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Lavori da immigrati? No, da italiani...

Con crisi e disoccupazione abbiamo ricominciato a fare i muratori, i badanti e i facchini

Lavori da immigrati? No, da italiani...

Dice Tito Boeri, presidente dell'Inps: «Senza immigrati l'Inps crollerebbe». In 20 anni valgono oltre 70 miliardi di contributi, che a spanne fanno 3,5 ogni 12 mesi. Senza di loro, sentenzia il professore prestato alla previdenza, ogni anno il governo dovrebbe fare una manovra economica aggiuntiva per rastrellare le risorse necessarie a fare sopravvivere l'istituto. In sostanza, invece che essere noi ad aiutarli in casa loro, sono gli immigrati che corrono ad aiutarci in casa nostra. Boeri riesce sempre a capovolgere gli slogan di Matteo Renzi.

L'allarme è suonato all'inizio del mese, quando l'Inps ha diffuso il rapporto annuale sui conti. Se si parla di sbarchi e di ordine pubblico, la reazione collettiva scatta immediata. Se invece si toccano le pensioni la faccenda si fa più complicata e infatti le parole di Boeri sono state accolte come la sapiente profezia di un guru. C'è però da chiedersi su che cosa si basano le sue affermazioni. Sono proprio gli stranieri a tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale, come sostiene il docente bocconiano, oppure anche lui vuole portare acqua al mulino dell'accoglienza senza se e senza ma? È proprio vero che gli stranieri ci portano via il lavoro e che se chiudessimo le frontiere i posti che occupano rimarrebbero scoperti? Di certo è un luogo comune superato quanto si legge nella relazione dell'Inps che gli italiani non vogliono più fare certi lavori: in Lombardia continua a diminuire il numero di stranieri che fanno i badanti, i manovali, gli stradini, i facchini.

I numeri citati dal presidente dell'Inps raccontano soltanto una parte della verità. Che, come sempre accade, è un po' più articolata. E non così schierata dalla sua parte. Boeri presume che da qui al 2040 gli extracomunitari verseranno 73 miliardi di contributi all'Inps e ne incasseranno 35 sotto forma di prestazioni sociali. Lo sbilancio per l'istituto, dunque, sarebbe di 38 miliardi in 22 anni, circa un miliardo e mezzo ogni 12 mesi. Una somma importante, certo, ma non quanto si è fatto apparire, ammesso che si verifichino tutte le ipotesi costruite dai tecnici dell'Inps per le loro simulazioni. Quelle di Boeri, infatti, non sono cifre certe bensì il frutto di calcoli econometrici soggetti a condizioni che non è detto si realizzeranno nel ventennio a venire. Per esempio, chi garantisce che questi lavoratori resteranno in Italia? Negli ultimi anni anche per loro si è fatto più difficile trovare (o mantenere) un impiego da noi e molti, arrivati soprattutto dai Paesi dell'Est, hanno fatto ritorno in patria dove guadagneranno meno ma non devono pagare affitti, riscaldamento e bollette ai costi italiani.

Oggi gli extracomunitari versano all'Inps circa 8 miliardi di contributi annuali ma dall'istituto ne incassano 3. A che titolo portano a casa questi soldi? Sono tutti assegni sociali: ricongiunzioni familiari, integrazioni al minimo, infortuni, invalidità, maggiorazioni sociali, eccetera. Non c'è ancora nessun titolare di una pensione di vecchiaia o anzianità pagata con almeno 20 anni di contributi. Quindi oggi i versamenti dei lavoratori stranieri coprono sì una parte delle pensioni degli italiani, ma in misura simile tornano da dove sono venuti sotto forma di assistenza sociale, che nei prossimi anni è destinata ad aumentare ulteriormente. Quando poi gli immigrati cominceranno a ottenere pensioni «vere» saranno dolori, altro che salvezza dell'Inps. Nell'immediato i 2,5 milioni di extracomunitari che erogano contributi concorrono al bilancio dell'istituto con circa 5 miliardi di euro netti all'anno. È il caso di ricordare che essi rappresentano poco più del 10 per cento dei 23,7 milioni di contributori Inps, e che la vera spina dorsale dell'istituto è il restante 90 per cento.

DIETROFRONT

Altro punto su cui Boeri ha preferito sorvolare è un luogo comune: gli italiani non vogliono più fare certi lavori. Dieci anni fa, prima che esplodesse la crisi, e per qualche anno successivo sarà anche stato così, anzi molti italiani sono stati contenti di cedere mansioni pesanti. Ma oggi? È proprio vero che un disoccupato magari con moglie e figli a carico rifiuterebbe un impiego anche poco qualificato? Sono pochi i centri studi che si occupano di questi temi. Uno è il Crisp (Centro di ricerca interuniversitario per i servizi di pubblica utilità), di cui è direttore scientifico il professor Mario Mezzanzanica, associato di Sistemi informativi all'università Bicocca di Milano.

Da anni Mezzanzanica monitora nel dettaglio il mercato del lavoro in Lombardia. E i «big data» sui nuovi assunti nella regione più produttiva d'Italia, e che dà impiego al maggior numero di extracomunitari, raccontano una profonda modifica in atto. I mestieri «da stranieri» (badanti, manovali, facchini, stradini, addetti alle pulizie) non sono più tali. È vero che i lavoratori non Ue continuano a rappresentare una parte significativa della manodopera complessiva, mediamente il 23 per cento degli avviamenti complessivi al lavoro, con un andamento pressoché stabile dal 22,8 per cento del 2008 (anno di inizio della crisi) al 22,1 del 2016, salvo un picco del 25 nel 2009. Ma a sorprendere è l'analisi delle singole mansioni. Tra gli addetti all'assistenza personale, per esempio, gli avviamenti di lavoratori stranieri erano il 77 per cento nel 2008 ma il 71 nel 2016, con una punta del 91 per cento nel 2009. I badanti italiani sono saliti dal 22 per cento al 29.

BASSO LIVELLO

Se l'assistenza alla persona resta appannaggio degli stranieri, la situazione si capovolge in altri lavori di basso livello professionale. Operai italiani addetti alle costruzioni e alle manutenzioni edili: i nuovi contratti sono saliti dal 54,8 per cento del 2008 al 56,1 del 2016. Addetti italiani alle pulizie: dal 50 al 56 per cento negli otto anni presi in esame; considerando solo gli avviamenti di manodopera femminile (prevalente in questa professione) le italiane erano il 60 per cento e ora il 70. Addetti alla logistica e allo spostamento merci: se nel 2008 gli avviamenti riguardavano per la maggior parte lavoratori stranieri (53 contro 47), nel 2016 le proporzioni si sono invertite con il 57 per cento di avviamenti di facchini italiani e il 43 di stranieri.

Benché limitati alla Lombardia, sono dati significativi. Non si può più dire, come Boeri, che gli italiani rifiutano certe mansioni di bassa professionalità nell'industria, nel commercio, nei servizi alle imprese e alle persone. Con un tasso di disoccupazione così alto, sottolinea il professor Mezzanzanica, una quota crescente di connazionali è pronta a riprendersi certi lavori al posto degli stranieri. Privo di immigrati l'istituto non crollerebbe come sostiene Boeri, perché una nuova manodopera italiana sostituirebbe quella straniera senza che i conti dell'istituto vengano alterati.

LE BUSTE PAGA

C'è poi un punto sul quale gli extracomunitari danneggiano pesantemente gli italiani con la complicità dei datori di lavoro: le paghe. Ci sono lavori che gli italiani non è che non vogliono, ma non possono fare ai livelli salariali accettati dagli stranieri. Gli immigrati sbarcano, vengono smistati nei centri di prima accoglienza, vagano per mesi senza permesso di soggiorno, in attesa di un visto e di un destino incerto, e molti accettano di essere sfruttati per qualche lavoretto nei campi, quattro soldi pur di non passare le giornate nel vuoto, e anche quel poco guadagnato in nero è ben preso per quei poveri disperati. Sono irregolari, evadono il fisco e non versano un euro all'Inps, ed esercitano una forma di dumping, cioè di concorrenza sleale al ribasso verso i braccianti italiani che vengono progressivamente espulsi da quel tipo di occupazione. Su queste forme di sfruttamento, da cui l'Inps potrebbe incamerare qualche soldo, forse Boeri avrebbe qualcosa da dire e da ridire. Invece tace, come del resto le associazioni dei datori di lavoro, ai quali piace l'impiego mal pagato soprattutto nei settori a basso valore aggiunto.

E il presidente dell'Inps sta zitto anche su un ultimo aspetto. Nella relazione egli esalta una sorta di generosità degli stranieri, che talvolta «se ne vanno senza chiedere i propri contributi». Li lasciano all'istituto, ce li regalano, ci aiutano a casa nostra. Tuttavia per anni gli extracomunitari che avevano lavorato almeno cinque anni in Italia hanno potuto riscuotere subito i contributi versati, più la quota del fondo pensione a carico del datore di lavoro e una maggiorazione del 5 per cento annuale a titolo di interessi.

Condizioni precluse a un italiano, varate dai governi dell'Ulivo, e successivamente corrette: il diritto a riscuotere in patria i contributi ora scatta al compimento dell'età pensionabile.

Tuttavia Boeri dimentica soprattutto un altro fenomeno: ci sono anche moltissimi italiani che non arrivano a 20 anni di contributi. Se non vengono integrati volontariamente i versamenti mancanti, anche questi soldi sono un regalo all'ente previdenziale. Ma il grazie del presidente stavolta non c'è.

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