"Cambiare gestione", "Presto una soluzione". Sindacati e Confindustria sullo sciopero dell'Ilva

Dopo tanti anni il corteo a Taranto attraversa la città e arriva fino al Comune, battibecco col Sindaco Pd che vuole la chiusura dello stabilimento

"Cambiare gestione", "Presto una soluzione". Sindacati e Confindustria sullo sciopero dell'Ilva

Erano anni che non accadeva che uno sciopero Ilva si spostasse in corteo fino a Palazzo di Città, sede del Comune di Taranto, che dista 4 chilometri dallo stabilimento.

Segno che è alla politica che oggi si rivolge l’urlo dei 10 mila lavoratori di Taranto, proprio quella che fino ad oggi ha fermato lo sviluppo della più grande fabbrica siderurgica d'Europa.

Una partecipazione allo sciopero del 100% dell’indotto e oltre 80% dei dipendenti. “Tutti gli ingressi sono stati picchettati ed è stato impedito a chi voleva entrare di farlo. Quindi i dati non sono significativi”, fa sapere l’azienda.

Lo sciopero è stato indetto dopo l’incontro con il Ministro Urso, convocato a seguito dell’annuncio da parte della gestione parastatale (la proprietà invece è totalmente pubblica) della sospensione di 145 commesse esterne con la conseguente fermata di circa 2.000 lavoratori dell’indotto, ad aggiungersi ai 4.500 diretti già in cassa integrazione.

Le dichiarazioni di D'Alò

“Lo sciopero di questa mattina è fatto nel nome della sofferenza e della dignità delle migliaia di lavoratori che questa crisi sta travolgendo - ha detto il Segretario Generale della Fim Cisl, Valerio D’Alò -. Abbiamo ribadito che Ilva è al minimo produttivo storico, la gestione del sito è al degrado. Non possiamo e non vogliamo assistere all’agonia del siderurgico, stiamo rischiando di far sprofondare Taranto in una crisi sociale e occupazionale gravissima. È per questo – ha aggiunto D’Alò - che siamo in sciopero in tutto il gruppo. La crisi non è una condanna storica inevitabile, è frutto di una serie di errori dei Governi precedenti. Questo è il momento di girare pagina e di costruire le soluzioni per far riprendere lavoro e investimenti. Perdere Taranto significherebbe anche dare un duro colpo a tutta la metalmeccanica italiana".

"Non si può pensare che l’industria dell’acciaio, che in tutta Europa genera profitti per le imprese e alti stipendi, a Taranto si traduca in precarietà e insicurezza sociale così grave" - attacca D’Alò -. Questa volta siamo di fronte ad un Governo forte e stabile, per questo chiediamo di ribaltare la situazione Ilva, con una governance solida dove chi investe guida il gruppo. Se lo Stato è il maggiore investitore deve avere potere decisionale. Per questo finalmente su più fronti, parte pubblica compresa, si chiede un cambio del governo d’impresa, che assicuri una gestione corretta degli impianti garantendo la sicurezza dei lavoratori e delle famiglie dentro e fuori la fabbrica. In vista della prossima assemblea dei soci di Acciaierie D’Italia, prevista per questo venerdì, chiediamo al Governo di essere determinato e chiaro. Le risorse ci sono – conclude D’Alò - ma non posso essere date senza cambiare la gestione".

Infine, la Fim Cisl fa presente che il più grande polo siderurgico d’Europa ha bisogno di competenze e di un soggetto privato per poter lavorare. La scommessa con Arcelor Mittal non ha funzionato, ma per fare impresa servono investimenti privati e competenze per vincere sui mercati internazionali quali quelli dell’acciaio.

Arrivati sotto il Comune dopo aver bloccato l’ingresso in città, i lavoratori hanno attesa circa due ore che arrivasse il sindaco del Pd Melucci, che in amministrazione con i Verdi da tempo chiede la chiusura dell’area a caldo, cioè la morte dello stabilimento di Taranto e la disoccupazione per tre quarti dei lavoratori. Che è cosi lo dimostra l’attiguo stabilimento Cementir, chiuso 5 anni fa senza che da allora nessuno sia riuscito a ricollocare neppure 50 lavoratori (figurarsi 10 mila).

Il sindaco Melucci appena arrivato ha detto ai sindacati che manifestavano “state buoni”, frase che è stata presa malissimo dai lavoratori, e infatti un Rsu della Fim gli risposto col megafono “buoni neanche ai cani si dice, non siamo cani, si deve vergognare della frase che hadetto, e non siamo assassini, basta a fare la cordata con Emiliano sono finite le elezioni”.

“Ci auguriamo un cambio di passo del nuovo Governo rispetto ai precedenti che hanno lanciato solo slogan, senza mettere un punto alla vertenza - dice il sindacalista Fim Vincenzo La Neve -. Bisogna anche tutelare i lavoratori in amministrazione straordinaria”.

Questi infatti erano stati messi dal ministro Di Maio in cassa integrazione fino al 2023, ma secondo l’ad Lucia Morselli con l’accordo preso con Giuseppe Conte a marzo 2020 (mai mostrato ai lavoratori) il loro reintegro sarebbe saltato.

Emiliano stamattina durante lo sciopero era a Taranto, ma anziché andare dai lavoratori Ilva è andato a salutare Pierfrancesco Favino che sta girando una fiction Rai sul comandante della X Mas Salvatore Todaro (senza essere Enrico Montesano). Il governatore della Puglia con il Sindaco chiede la nazionalizzazione della fabbrica, cosi magari da poter inserire i loro nel cda dell'azienda, come hanno appena fatto con un consigliere comunale di Taranto senza alcuna esperienza manageriale, nominandolo nel cda di Acquedotto Pugliese.

E’ intervenuto invece il presidente della Liguria Giovanni Toti: “inutile lavorare con opzioni fantasiose che tengano insieme l’inconciliabile: se si vuole continuare a mantenere l'acciaio si devono riaccendere gli altiforni, si deve produrre acciaio e lavorare, Genova non aspetta altro”. Infatti anche a Genova i lavoratori Ilva erano in sciopero.

Interviene anche Bonomi

Oltre i sindacati su Ilva stamattina è intervenuto anche il Presidente di Federacciai, Antonio Gozzi: "Taranto, dal punto di vista degli investimenti ambientali fatti, è uno dei primi impianti del mondo. Oggi esistono le condizioni per un piano industriale di rilancio, ma bisogna decidere chi lo fa. Non siamo più nell'era delle partecipazioni statali gloriose per la città di Genova e della Finsider, non è immaginabile la riedizione di una cosa che non esiste più, ma potrebbe essere che lo Stato, in fase transitoria, decida di intervenire seriamente su quell'azienda e costruisca un'ipotesi di privatizzazione a termine".

I Riva – ha ricordato ancora Gozzi - investivano a Taranto e negli altri impianti 350-400 milioni di euro l'anno, perché la siderurgia ha bisogno di investimenti continui per mantenere il livello di qualità dei prodotti e di sicurezza delle produzioni. Purtroppo, in questi 10 anni investimenti sugli impianti non ci sono stati, ma si sono fatti importantissimi investimenti di ambientalizzazione e oggi la situazione di Taranto è completamente diversa rispetto a 10 anni fa”.

Sulla stessa linea è intervenuto anche il presidente di Confindustria Bonomi: "Come troppe volte in passato, pesa la persistente incertezza per i troppi anni da cui si discute del ventilato ritorno alla statalizzazione. Per l’Italia è essenziale preservare la produzione di acciaio a ciclo integrale. È necessario – conclude il numero uno di Viale dell’Astronomia – trovare al più presto una soluzione, nell’interesse dei lavoratori e della filiera.

Perciò abbiamo pubblicamente annunciato – Confindustria nazionale insieme a tutte quelle dei territori in cui Ilva opera – la nostra disponibilità per trovare soluzioni rapide volte a garantire un assetto di mercato dell’impresa stabile e solido”.

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