Fuori si sente a casa. Non c’è più quella cappa di noia e mediocrità, le liti da cortile, gli alleati che lo stressano, i nemici che ogni giorno programmano la sua caduta. Non c’è Fini. Non c’è Tremonti. Non ci sono Scajola e Brancher. Non ci sono Di Pietro e Bersani. Non c’è Casini. Non ci sono i burocrati della politica. Fuori per Berlusconi è un’altra storia, soprattutto da quando ha scoperto che la geopolitica lo tira fuori dalla palude italiana.
Il sospetto è che all’estero Berlusconi si diverta. È la sua politica della pacca sulla spalla che funziona. Quando viaggia torna a sentirsi imprenditore, stipula contratti, accordi, firma strategie. Si gioca una partita alla pari. Non si sente assediato. Non pensa che i suoi interlocutori siano lì solo per farlo fuori. Il Berlusconi straniero è più sicuro. Ribalta i luoghi comuni. Così accade quello che molti non si aspettano. L’opposizione aveva brindato e scommesso su un Obama antiberlusconiano. Ridevano velenosi alla battuta «abbronzata» e invece l’uomo del «we can» spiazza tutti. Berlusconi non è il regime, non è l’italiano antipatico e maldestro, non è il divo televisivo, ma è un leader che sa cosa vuole e l’ottiene come testimonia l’intervista del presidente statunitense al Corriere della Sera: «Con Berlusconi abbiamo sviluppato un rapporto forte. Quando ci incontriamo è sempre un piacere, ridiamo, scherziamo, facciamo cose concrete e serie. Berlusconi è un grande amico degli Stati Uniti e mio personale».
Obama non ha pregiudizi. Obama non è fatto della stessa stoffa dei vari Veltroni. Obama riconosce la leadership politica del Cavaliere. E non è il solo. Il Berlusconi internazionale riesce a muoversi con più coraggio, più «semplicità» del Berlusconi italiano. Il premier che in Italia è costretto ad accettare una manovra che non convince, che calca la mano sul decreto intercettazioni, che non sa come regolare i conti con Fini e con buona parte dei propri dirigenti, che fatica a governare, al di là dei confini ritrova se stesso. Il guaio è che forse proprio l’Italia avrebbe bisogno del Berlusconi che gioca in trasferta.
È come se il premier in Italia fosse prigioniero di una cappa di mediocrità. È costretto a confrontarsi con i tiri mancini di personaggi che volano basso. Ogni volta che Berlusconi polemizza con quello che rappresenta Bocchino si lascia ingabbiare. È un Berlusconi che si indigna per le accuse che arrivano dall’Aquila, che si lascia ferire dalle disavventure giudiziarie della sua classe politica. È un Cavaliere stanco di mediazioni, di stop, di tanti piccoli interessi particolari che appesantiscono la sua azione di governo. È un Berlusconi vittima di un esercito di pasticcioni, che non consegnano in tempo le liste elettorali o riempiono la manovra di refusi. È un Berlusconi «senza potere».
Sembra un paradosso ma proprio lui arcitaliano trova ormai la politica estera molto più lineare. Ci sono punti fermi e alleanze sicure. È mondo spietato, ma dove i patti vengono rispettati. Sullo scacchiere internazionale il coraggio, anche quello di difendere senza tentennamenti Israele, paga. In Italia no. In Italia il coraggio te lo fanno pagare.
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