La leggenda del bitto d’alpeggio tra i prati e i casari di Gerola Alta

nostro inviato a Gerola Alta

Gli abitanti di Gerola Alta risultano 249 (ma sei volte tante sessant’anni fa). In verità sono cento in meno quelli che passano l’inverno tra i mille e i 1.500 metri di questo comune della provincia di Sondrio, lo zoccolo duro e testardo, che non si fa convincere dalle lusinghe del fondovalle. Chi ama le cose belle, come la natura di montagna, e quelle buone, come il Bitto di alpeggio, deve adottare questo paese aggrappato alla sua storia, da visitare in queste settimane di tempo bello, con passeggiate verso i duemila metri del crinale che divide la Valtellina dalla provincia di Bergamo lungo la Via dei Tre Signori. Sono otto ore a percorrerla per intero e l’Ecomuseo della Valgerola, valgerolaonline.it, la reclamizzerà ancora di più.
Tre Signori perché un tempo, lì in quota, sotto la vetta del Ponteranica, si toccavano i confini di Venezia, dei Grigioni e di Milano e la geografia economica era completamente diversa perché le merci viaggiavano verso la pianura attraverso i passi come il San Marco e il mercato principale era quello di Branzi (Bergamo). Se questa valle senza sbocco, se non a piedi, è ancora abitata e viva è per merito dello sci e del suo formaggio, il Bitto, un capolavoro assoluto. È prodotto in numero ridicolo, alcune migliaia di forma all’anno, da latte di vacca e latte di capra orobica (è d’obbligo ma non può superare il 20%), formaggio a latte crudo, frutto del pascolo turnato (le bestie non brucano nello stesso fazzoletto) e del rifiuto di enzimi e mangini esterni. Solo la natura, in feroce polemica e sacrosanta contrapposizione con il disciplinare della Dop, voluto e difeso da un consorzio che certifica un prodotto tra il mediocre e il dignitoso a patto di gustarlo poco stagionato.
E qui casca l’asino, perché il vero Bitto, che prende il nome dal torrente che ha scavato la Val Gerola, non è un formaggio da pasto o da panini in gita, bensì da invecchiamento, da gustare meditando e sorseggiando vini importanti come gli Sforzati. Soprattutto, il Bitto delle Valli del Bitto più invecchia e più migliora. A parte quelli che lo usano giovane per i pizzoccheri (in tal senso merita l’Antica Trattoria Pizzo Tre Signori, 0342.690025), è un delitto mangiarlo prima dei due anni, ora il 2007. Fino a quattro o cinque ha prezzi importanti, ma noti: 29 al chilo nella Casera di Gerola Alta, 0342.690081, dove ci si può prenotare per la polenta taragna, altrimenti 35 in basso, dai Fratelli Ciapponi, ciapponi.com, a Morbegno e da Cantamaggio, gastronomiacantamaggio.it, due sedi, Colico e Morbegno, quindi la Bottega degli Antichi sapori a Delebio, 0342.696060. Notare bene: ai casari che si spezzano la schiena per tre mesi sui monti viene pagato 16 .


Le forme che superano il lustro e puntano ai dieci e più anni sono reliquie che Paolo Ciapparelli, anima della Casera e del presidio Slow Food, coccola come figli. Si entra nell’iperspazio del piacere, come accadrà il 18/20 settembre con la festa per la discesa di casari, pastori e bestie.

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