Aveva pensato di intitolare la Quadriennale 2025, in arrivo a Roma dal prossimo ottobre, semplicemente "Fantastica", «nel senso del verbo… è un invito a riscoprire la potenza del simbolico e la forza dell’immaginazione, che è soprattutto dentro di noi». Per questo suo ultimo grande progetto espositivo corale che racconta l’arte contemporanea degli ultimi 25 anni, Luca Beatrice è stato capace di coinvolgere curatori di spicco e diversissimi tra loro: Luca Massimo Barbero, Francesco Bonami, Emanuela Mazzonis di Pralafera, Francesco Stocchi, Alessandra Troncone. Istinto e capacità di sparigliare, uniti ad un certo umorismo sottile alla torinese: questo era Luca Beatrice. Dote che ha portato nelle curatele, nel lavoro di docente e in quello di giornalista (già collaboratore del Giornale, dove lascia vari amici, è stato firma di Libero). Era un tessitore, sulla trama della cultura “alta” inseriva l’ordito della cultura “bassa”. Bravissimo ad esempio nel mettere a sistema arte e musica aveva mantenuto le apparenze da «Vecchio punkettone» (ipse dixit), girava quasi sempre in jeans e giubbotto, amava l’Harley Davidson quasi come la Juve. Chi scrive lo ricorda ad un festival culturale intrattenere un intero paese della Valle di Comino parlando de “Gli uomini della Signora”, intesi come i giocatori della Juventus che tanto amava e aveva raccontato in un libro. Riuscì a far interessare la cosa anche le vecchiette alle finestre.
Autodichiaratosi «di destra», al Giornale dell’Arte che gli chiedeva conto degli attacchi ricevuti per la nomina alla Quadriennale, aveva risposto: «Sono attacchi politici, che non hanno a che fare con l’arte e la sua conoscenza. Io sono di destra e quando la destra è al governo vengo preso in considerazione dalle istituzioni pubbliche, esattamente come tanti miei colleghi di sinistra vengono prescelti in momenti in cui al governo c’è la sinistra». Poliedrico e sempre pronto alla battaglia culturale, concepiva la dialettica come insegnamento. E l’insegnamento era la professione di cui andava più orgoglioso: ha insegnato Storia dell’Arte all’Accademia Albertina di Torino, allo IED, allo Iulm di Milano e prima ancora all’Accademia di Belle Arti di Palermo e a quella di Brera di Milano. Ha scritto come critico su svariate riviste, tra cui Flash Art, ritagliandosi fin dagli anni Novanta uno spazio nell’ambito delle curatele sulle arti figurative italiane, con mostre interessanti come quella dedicata a Marco Cingolani.
Nel 2009 è arrivato l’incarico di una vita: Luca Beatrice, insieme a Beatrice Buscaroli, è scelto dal Mic per curare il Padiglione Italia alla 53esuma Biennale d’Arte di Venezia: il padiglione “dei due Beatrice” (ma il titolo era “Collaudi”) aveva messo al centro della riflessione l’opera di Filippo Tommaso Marinetti e analizzava il Futurismo come vera avanguardia del Novecento. Oggi, tra mostre, anniversari e convegni, parrebbe scontato, all’epoca fu un sasso nello stagno. Chiusa la Biennale in laguna, Beatrice ha seguito con sabauda pazienza, tra il 2010 e il 2018, il delicato meccanismo del Circolo dei Lettori di Torino e nel frattempo ha curato una serie di mostre, da quella su Andy Warhol a Palazzo Ducale di Genova alla collettiva su Pollock e la scuola di New York a Palazzo Reale, senza dimenticare incursioni pop quali la mostra sul mito della motocicletta come arte alla Reggia di Venaria o l’esposizione su Diabolik alla Mole di Torino.
Tra i suoi libri, le gustose biografie su Renato Zero e Lucio Dalla, il saggio “Da che arte stai? Dieci lezioni sul contemporaneo”, edito da Rizzoli, e l’ultimo volume, questo pubblicato da Marsilio, “Le vite. Un racconto provinciale dell’arte italiana” scritto perché era allergico a gerarchie e snobismi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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