La bellezza ci insegna la tolleranza

Si apre oggi la più importante fiera mondiale del libro. L'Italia è ospite d'onore: il discorso d'inaugurazione della Buchmesse di Francoforte

La bellezza ci insegna la tolleranza

Racconto una storia. Anzi, è Ivan Karamazov che racconta una storia al fratello. Siamo nel XV secolo in Spagna, a Siviglia, ai tempi dell'Inquisizione: Gesù torna sulla terra per predicare la libertà e l'amore che salvano gli uomini dal male. Ma il Grande Inquisitore lo fa arrestare, e nella prigione dove Gesù è rinchiuso lo accusa di essere un grave pericolo per gli uomini, i quali sono deboli e viziosi e non sanno cosa farsene della libertà che non dà loro certezze. Piuttosto, essi cercano l'ordine e la sicurezza, vogliono inchinarsi di fronte a una forte autorità che li protegga dai rischi di quel libero arbitrio che Gesù va in giro a predicare. Alla fine della sua requisitoria, l'Inquisitore gli comunica che l'indomani sarebbe stato condannato a morte. Gesù ascolta le accuse dell'Inquisitore sempre in silenzio e come risposta gli dà un bacio «sulle sue vecchie labbra esangui». A questo punto ci dobbiamo domandare chi sia il Gesù che torna sulla terra. Certo, non ritorna per baciare il Grande Inquisitore, ma per provocarlo, provocando anche noi con un compito da perseguire: cercare sempre la bellezza. «L'umanità» scrive Dostoevskij ne I Demoni, «può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere». E ne L'idiota la fin troppo celebre e spesso non compresa affermazione: «La bellezza salverà il mondo». Ippolit, il personaggio del romanzo che interpreta la figura del nichilista, di colui che non crede a quella verità, domanda con sarcasmo: «Quale bellezza salverà il mondo?». Appunto, quale bellezza: non potrà essere la bellezza effimera delle apparenze, delle vanità, dei capricci. Quale, allora? Nessuno sa rispondergli. Noi dobbiamo farci carico di questo dilemma.

Alcuni decenni prima di questi testi di Dostoevskij, in una scena del suo Faust, Goethe ci aveva dato il giusto orientamento. Faust corona il desiderio d'incontrare Elena, la bellezza, e amare il suo corpo. L'uomo gotico, Faust, l'uomo delle nebbie nordiche ama Elena, la dolcezza della perfezione classica, e dalla loro unione nasce Euforione. Questi, dalla madre riceve il sentimento del bello, la visione serena della vita, il senso della melodia e del ritmo. Dal padre il desiderio d'infinito, il bisogno di libertà, la fierezza, il coraggio di sognare, l'impeto che muove all'azione. Euforione è la poesia, è il nuovo Ermes.

Perché proprio Ermes, chi è Ermes? È il dio delle metamorfosi, in grado di trasformare l'essenza di una cosa in un'esistenza diversa. Il piccolo Ermes, appena nato, ancora sul suo giaciglio, vede passargli davanti una tartaruga. La osserva, con lo sguardo segue il suo lento e faticoso cammino, poi l'afferra, la tiene tra le sue piccole mani per guardarla ancor meglio e, con un gesto rapido e crudele, la uccide. Con meticolosa attenzione l'eviscera, sul suo guscio svuotato tende tre corde ottenute dalle interiora della povera bestiola e, così facendo, dall'animale più vicino alle tenebre, al Tartaro, dall'animale più goffo nei movimenti e mostruoso nell'aspetto, Ermes ricava uno strumento delicatissimo, dal suono sublime, la lira. Come un abile conoscitore dei suoi segreti, vibra le corde di quella sua mirabile invenzione, per accompagnare il canto con cui celebra le lodi in onore della madre Maya. E, per la prima volta, gli uomini della Terra odono il canto della poesia. Torniamo adesso a Euforione, il nuovo Ermes che esce dai versi di Goethe: egli non sopravvive al suo desiderio d'infinito e di libertà. Vuole con le sue piccole ali volare verso l'alto, sempre più in alto: è audace, indifferente al pericolo, è osservato con ammirazione per il suo coraggio dal padre Faust, ma con terrore dalla madre Elena per i rischi a cui va incontro con il suo volo temerario. Troppo arduo il suo desiderio, ancora troppo deboli le sue forze: ha osato oltre le sue possibilità, precipita sulla terra, muore. Elena può accettare il lutto soltanto ritornando nell'Ade. Il corpo di lei svanisce, ma lascia tra le mani di Faust la sua veste e il suo velo. «Tieni saldo quanto è rimasto di tutto questo» Elena gli dice, «fa' uso del suo grande inestimabile valore ed elevati verso l'alto. Ti porterà rapidamente al di sopra di tutto ciò che è volgare.

Quel velo, quella veste sono simboli di una bellezza che non possiede la luce solare di Apollo in grado di infondere al canto la perfezione e l'armonia, ma sua è la segretezza, l'ombra che avvolge le immagini. Una bellezza lontana dalle simmetrie apollinee, ma ricca di fascino misterioso, nato da intuizioni metamorfiche, che sarà l'orizzonte di quell'arte moderna che rifiuta il nulla del suo significato, un'arte che, pur lontana dalla perfezione classica di Apollo, non intende rinunciare alla rappresentazione della bellezza vivente. Il patrimonio artistico italiano rappresenta in modo evidente e straordinario questa trasformazione millenaria della bellezza sempre vivente, da quella classica a quella rinascimentale, romantica, fino a quella contemporanea.

L'uomo occidentale non fermerà l'attimo della propria vita, come ha desiderato Faust, continuerà ad agire e a subordinare la contemplazione all'azione perché questo è il suo irrevocabile destino. Ma se sarà insofferente a un agire fine a se stesso, se rifiuterà il nichilismo della pura azione, allora ricorderà come il genio di Weimar ha celebrato nella sua grande opera la bellezza dell'arte italiana, e troverà in quella cultura la possibilità per pensare un mondo diverso da quello che viviamo. Così, infine, riprendiamo la pagina dei Karamazov, quando Gesù ritorna tra noi sulla terra. Il bacio che egli dà all'Inquisitore è la sua sfida al nichilismo vera malattia spirituale del nostro tempo sfida a un'umanità sottomessa, indifferente che ha l'obbligo invece di ritrovare nella bellezza il senso profondo e spirituale dell'essere umano. Nella bellezza c'è la condizione ubiqua e metamorfica della resurrezione, che trasforma, rivoluziona l'esistente: essa è la forza per rinascere dal nulla, dalla brutalità del male. Fare bellezza non è un esclusivo privilegio dell'artista, dello scienziato che lavora per il bene dell'umanità: anche nell'operare silenzioso e anonimo di tanti eroi della vita quotidiana che donano se stessi per aiutare gli altri, si fa bellezza.

Educare alla bellezza - progettuale, utopica - e saperla vedere nelle differenze oltre gli inganni e gli opportunismi: chi ha imparato a rispettare ciò che è bello, rispetterà il volto dell'altro, senza violarlo, senza annientarlo. Il coraggio di trovare nelle differenze quello che accomuna, che consente il confronto nel reciproco rispetto delle proprie idee, è la bellezza che si chiama democrazia.

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