La storia dimenticata dei tank Panzer VI Tiger: così combatterono in Normandia

Tra le armi più temute dal nemico, il panzer Tiger ha lasciato dietro di se una fama leggendaria. Le divisioni combattenti corazzate delle Ss ne fecero largo uso in Normandia. Una testimonianza diretta dal fronte di 80 anni fa

La storia dimenticata dei tank Panzer VI Tiger: così combatterono in Normandia

Nel caldo afoso del bocage normanno, tra un muro di pietra che cinge il terreno di una chaumière abbandonata dai contadini che abitavano il tetto di paglia, una siepe avanza davanti agli occhi del nemico che osserva la boscaglia. Un Panzer VI Tiger ben camuffato pronto a mietere vittime con il suo temibile cannone da 88mm attende solo di allineare il collimatore sul bersaglio. È questione di pochi attimi. Il carro può restare immobile oppure muovere. Così sessanta tonnellate d'acciaio corazzato sferragliano per attaccare le avanguardie Alleate che guadagnavano terreno in Normandia ma temevano, più di ogni altra cosa, di imbattersi proprio in un Tiger.

Ebbene se avete immaginato la scena, e volete sapere come si combatteva davvero a bordo di un panzer Tiger, forse uno dei più leggendari carri armati della storia, "l'arma più di ogni altra indicata per la lotta nei punti nevralgici" secondo le parole del generale d'armata Paul Hausser, allora dovete procurarvi una copia di "I Tiger delle Waffen-SS in azione" di Wilhem Fey. Libro tratto da diari di guerra dei carristi Ernst Streng e Heinz Trautmann, edito da Italia Storica. Testimonianza diretta di un giovanissimo equipaggio di un Tiger che racconta, in prima persona, tutti i punti cruciali dei teatri di guerra che hanno visto cambiare le sorti del secondo conflitto mondiale tra il 1943-1945.

Parole di ragazzi in una scatola d'acciaio

"Correvano le giornate fatidiche del gennaio del 1943 quando ci trovammo insieme. Poche ore prima non sapevamo nulla gli uni degli altri, ed eccoci all’improvviso formare un unico equipaggio di Panzer legato da vincoli camerateschi per la vita e per la morte. Siamo cinque uomini, meglio sarebbe dire cinque ragazzi, quasi tutti però già passati sotto il segno della guerra: il Richtschütze (puntatore) ha diciannove anni, ma è stato per un anno in prima linea con una Compagnia di Panzer IV; il Funker (marconista) ha diciotto anni, proviene da una Compagnia di Panzer III ed è già stato anche lui per quasi un anno sul fronte orientale; il Ladeschütze (porgitore), che è il nostro beniamino, non ha che diciassette anni e mezzo, è giunto fresco fresco da casa, è volontario, arde dal desiderio di compiere bene il suo primo servizio; il capocarro ha ventitré anni, combatte fin dall’inizio della guerra, è stato tre anni in fanteria, ha attraversato la Polonia e la Francia, ferito più volte, e possiede le caratteristiche per cui un fante si riconosce a un miglio di distanza. Ha dietro di sé due campagne invernali sul fronte orientale e irradia su di noi ondate di fiducia e di sicurezza. Ci viene assegnato il nostro Tiger.

Siamo fierissimi di questo Panzer: si tratta di uno dei primi Tiger per il fronte orientale. Fin dai primi giorni esso rappresenta per noi molto più che non un mezzo di guerra meccanico; per noi non è metallo inerte: vive. Curiamo e “coccoliamo” il nostro Panzer perché sappiamo quanto ci sarà necessario nelle battaglie che ci attendono. Nel suo interno dormiamo, mangiamo, ridiamo. Tremiamo, prendendolo a calci e maledicendolo, quando il motore si rifiuta di funzionare, ma non appena tutto va bene di nuovo lo copriamo di elogi e di carezze. Siamo diventati una cosa sola, noi cinque uomini e il nostro Tiger!". Queste le prime parole di questo libro, parole di semplici "ragazzi".

Dal fronte orientale all'ultima difesa

Dalla battaglie sul fronte orientale, come il blitz di Bielgorod e la difesa di Kiev, alla strenua difesa contro le armate Alleate sbarcate in Francia, dalle manovre della disperata salvezza sull'Oder e l'Elba nel 1945, fino ai drammatici scontri della disfatta finale intorno a Berlino, il Tiger c'era.

"L’opera è costituita da una serie di istantanee: la guerra come appare, giorno per giorno, minuto per minuto, a chi la combatte in posizione di primissima linea", "Perché qui protagonista non è la Storia o la Politica, la Strategia o la Tattica, ma l’equipaggio di un carro armato, e quindi il Combattente, il Soldato, e cioè l’Uomo", scriveva nella prefazione del libro vergata a Roma nel 1960 da Daria Olsoufieff Borghese. "L’equipaggio di questo Tiger non polemizza, non sottilizza, non si domanda chi abbia ragione e chi torto nella tremenda tempesta che scrolla il mondo: combatte. Esegue senza discutere, fino al limite delle possibilità umane, ed oltre", prosegue nella descrizione di un testo che illustra due anni di guerra vissuti da cinque giovani carristi tra i diciassette e i ventitré anni.

Giovani uomini asserragliati in una scatola d'acciaio che combattevano contro altri giovani uomini asserragliati in altre scatole d'acciaio. Scatole simili ma con nomi diversi. I T-34 russi nella steppa ucraina, i Cromwell ei Churchill inglesi e canadesi, gli Sherman americani in Normandia. E che si nascondevano, con terrore, dal pericolo più grande: gli aerei cacciacarri che tagliavano il cielo d'improvviso, sganciando bombe e razzi grazie alla supremazia aerea ottenuta dagli Alleati. Indossavano uniformi nere e portavano le teste di morto sulle mostrine, e per questo verranno confusi dalla storia con le Schutzstaffel.

Ma loro, i carristi delle Waffen-SS, erano solo dei combattenti per una causa che nemmeno ricordavano

più. I carristi "eseguono, senza discutere", l'abbiamo già detto. Fornendoci attraverso la propria memoria, come di sovente ripetiamo, occasione per riflettere profondamente su cosa è stata la guerra dalla parte dei vinti.

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