La difesa lillipuziana del gigante europeo

Antonio Missiroli analizza la storia militare dell'Unione, che senza l'ombrello Nato è "nuda"

La difesa lillipuziana del gigante europeo

A più riprese, dopo la Guerra fredda, all'opinione pubblica occidentale è stata ammannita l'idea della fine dei conflitti, persino della fine stessa della Storia, Fukuyama docet. Se quest'idea ha iniziato ad incrinarsi con l'11 settembre, ma in fondo si trattava solo di terrorismo, è definitivamente andata in frantumi negli ultimi due anni. L'invasione russa dell'Ucraina ha riportato al centro dell'interesse, persino nella riluttante Europa, la questione della guerra e dell'uso della forza militare.

Per certi versi, seppur colte di sorpresa dalla brutale operazione di Mosca, le cancellerie europee e l'Unione hanno reagito con determinazione e coesione inattese: sia dal punto di vista degli aiuti militari sia da quello della capacità di organizzare sanzioni comuni (a prescindere dall'efficacia) e di emanciparsi, almeno parzialmente, dalla dipendenza energetica verso la Russia.

Sul piano militare, però, è risultato evidente che il cappello della Nato, a leadership statunitense, è stato fondamentale per coordinare questa risposta. Mentre l'idea di una difesa europea, seppure ciclicamente ripescata, ha mostrato chiaramente di essere molto lontana da una vera e fattuale realizzazione.

Ma quello della difesa europea, quale che sia lo sbocco immediato della guerra in Ucraina, non è più un tema rimandabile. La Russia, potenzialmente ostile e ben armata, resterà molto vicina; gli Stati uniti, invece, potrebbero essere sempre più assorbiti dallo scontro geopolitico con la Cina. In questo contesto la difesa europea diventerebbe un tema di sopravvivenza politica. Per rendersene conto niente di meglio del saggio di Antonio Missiroli: La difesa dell'Europa (Mondadori, pagg. 202, euro 18).

Missiroli - che è stato consigliere della Commissione europea, direttore dell'Istituto di studi sulla sicurezza dell'Ue e Segretario generale aggiunto della Nato - delinea un percorso storico e poi lo utilizza, come punto di appoggio, per delle riflessioni sul presente e sul futuro. Partiamo dalla Storia, l'idea di una difesa europea inizia a prendere corpo dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Il rapido cambio geopolitico trasformò l'Urss in una minaccia. Le prime idee per la costruzione di un esercito europeo o almeno per l'istituzione di un coordinamento sulla produzione degli armamenti risalgono ad una nota del governo italiano del maggio del 1950. Lo scoppio, di lì a breve, della guerra di Corea, sembrò imporre un'accelerazione alla questione: la possibilità che quella guerra fosse solo un preliminare all'invasione sovietica dell'Europa occidentale riportò al centro del dibattito la posizione della Germania Ovest. Era infatti strategicamente palese che la difesa dell'Europa non poteva essere condotta, con ragionevoli possibilità di successo, senza la partecipazione di un esercito tedesco. Si pensò quindi all'idea di dar vita alla Comunità europea di difesa (Ced). Ma le cose andarono per le lunghe e la morte di Stalin, nel 1953, e il diniego dei francesi stopparono il progetto. Da allora c'è stato uno sviluppo tutt'altro lineare di questi sforzi che sono arrivati sino alla nascita della «Psdc» dell'attuale Unione europea. Cosa c'è dietro l'acronimo? La politica di sicurezza e di difesa comune che è sancita dal trattato di Lisbona del 2009. Nonostante tutte le crisi e lisi della politica, per moltissimi anni quello che contava, nei fatti, era il cappello della Nato. Solo dalla fine della Guerra fredda l'Europa ha iniziato a muoversi da sola, anche militarmente, ma con una scelta molto più soft power rispetto agli Usa.

La prima molla di questo cambio di orientamento sono stati i conflitti nei Balcani, troppo vicini per non preoccupare. Qualcuno come il ministro lussemburghese Jacques Poos arrivò a dire che era scoccata «L'heure de l'Europe». Non cambiò molto però nello sviluppo di strutture militari stabili, sia a livello logistico che di filiera di comando. Duplicare la Nato era problematico e sgradito agli Usa, o ad altri alleati come la Turchia. Ma in quegli anni (1999-2009) si parlava soprattutto di crisi «Out of area».

Ora tutto è diverso, il livello di pressione sul continente è iniziato a salire con le primavere arabe e le loro conseguenze destabilizzanti. L'Europa si è scoperta esposta. Con la crisi ucraina la minaccia è diventata esponenziale. Un cambio subito registrato dai Paesi Nordici, i più veloci a pensare alla necessità di un riarmo per difendersi dalla Russia. Stupefacentemente rapida, ad esempio, la decisione della Danimarca, nazione (nella storia contemporanea) molto pacifista, di reagire alla minaccia di Mosca. Ma il problema è tutto da affrontare, come spiega Missiroli: «La prospettiva di un ritorno a una guerra convenzionale in Europa solleva problemi perfino dal punto di vista delle risorse umane disponibili: dagli anni 90 fino ai tempi recentissimi, le forze armate europee hanno gradualmente ridotto i loro effettivi... Questa contrazione della massa degli effettivi ha fatto persino parlare di eserciti bonsai».

Insomma in caso di conflitto protratto e diretto l'Europa, nonostante una forte capacità tecnologica rischierebbe di passare i suoi guai, per mancanza di riserve e di logistica. C'è un processo da ridisegnare e in fretta. Ma questo pericolo è percepito dai cittadini europei? Non sembrerebbe in cima ai loro pensieri. Però spesso le guerre si perdono così, cullati dalla pace.

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