L'amore tra due adolescenti raccontato nel libro "Mezzamela" di Matteo Bussola

Torna in libreria Matteo Bussola, con il nuovo romanzo "Mezzamela - la bellezza di amarsi alla pari" (Salani), che dopo "Viola e il Blu", continua ad "indagare" nel mondo dei sentimenti adolescenziali

L'amore tra due adolescenti raccontato nel libro "Mezzamela" di Matteo Bussola

Dopo il precedente Viola e il Blu (Salani) diventato anche uno spettacolo teatrale, torna in libreria Matteo Bussola, con un delicato romanzo: Mezzamela - la bellezza di amarsi alla pari (Salani) che raccontando la storia dell’innamoramento di due adolescenti, già conosciuti nel precedente libro, riprende le tematiche dalla parità di genere e la lotta contro gli stereotipi. Dopo aver magistralmente indagato nel mondo della genitorialità con il best seller Notti in bianco, baci a colazione (Einaudi), ora Bussola chiude il cerchio della reciprocità nei sentimenti, raccontando dalla parte maschile e femminile i primi turbamenti, e come l’amore e i sentimenti siano vissuti, a dispetto degli stereotipi, nella stessa maniera da entrambi i sessi.

Dopo il mondo degli adulti, è già il secondo libro dove indaga nella vita dei ragazzi, cosa l’ha spinta a fare questa scelta?

“È stato, più o meno inconsciamente, il tentativo di affrontare la questione da entrambi i punti di vista. Il mio è quello di genitore che si predispone prima di tutto all’ascolto dei figli, avendo però ben presente che questo ruolo prevede reciprocità, perché non siamo soltanto noi ad educare i ragazzi, ma anche loro educano noi, regalandoci uno sguardo sul presente. La questione, in questi ultimi anni, mi è poi diventata particolarmente cara sia avendo una figlia che è entrata prepotentemente nell’adolescenza, ma anche perché questa generazione è stata molto danneggiata dalla pandemia e da questi anni parecchio difficili. A questi ragazzi e ragazze hanno affidato l’onere di “salvare noi” adulti, perché a loro il virus non faceva nulla, e per farlo li abbiamo sostanzialmente rinchiusi, in un’età in cui uscire, incontrarsi, costruire relazioni con gli altri, toccarsi, persino baciarsi, sono questioni fondamentali. Gli abbiamo tolto tutto in un colpo solo, e delle reali conseguenze ce ne accorgeremo tra qualche anno. Per ora sappiamo che i reparti di neuropsichiatria infantile, non sono mai stati così pieni di giovani con problematiche autolesionistiche o alimentari. Li abbiamo caricati di una responsabilità non adatto alla loro età”.

Quanto secondo lei per questa generazione di adolescenti è cambiato il mondo di vivere i sentimenti?

“Senza voler fare il solito discorso di “ai miei tempi” se c’è un vantaggio che ha avuto la nostra generazione è stato quello che per conoscere una persona ci voleva tempo, impegno, e anche sottoporsi a tutta una serie di rischi. La loro è, al contrario, una generazione che sta affrontando il rapporto con l’altro con molta confusione, perché sono esposti ad una sovrabbondanza di stimoli e possibilità come mai prima d’ora. Spesso ho proprio l’impressione che non si diano il tempo di conoscersi meglio, di approfondire, anche perché lo fanno soprattutto attraverso i canali social, e questa “offerta” è perenne e non riesci mai a sottrarti a questo flusso. Quindi da una parte hanno facilità, ma dall’altra è proprio quella che gli impedisce di conoscersi in maniera più autentica. In più c’è da dire che l’adolescenza, che è la stessa a tutte le latitudini, li fa vivere in perenne bilico tra il desiderio di essere amati e la paura di essere feriti, e che se è vero che la seconda è spesso un freno che ci limita, è anche vero che il primo, se continuamente alimentato dall’illusione di una sovrabbondanza di esperienze costantemente a portata, può essere fuorviante”.

Noi siamo la generazione che ha fatto il grande salto, quello di cercare di comprendere l’adolescenza dei ragazzi. Nonostante questa apertura è però ancora molto netta, nel modo di vivere i sentimenti, la differenza percepita tra ragazzi e ragazze, dove i primi hanno ancora il peso di non doverli dimostrare in quanto maschi.

“Abbiamo educato generazione di ragazzi, soprattutto a proteggersi dalla loro fragilità, e a non avere nessuna confidenza con la loro sfera emotiva. In questo senso non abbiamo fatto loro un favore, perché quando si trovano a gestire le delusioni, fanno ancora più fatica. Il tentativo che ho fatto nel libro è stato proprio quello di dimostrare che di fronte alla novità di un sentimento d’amore, in realtà siamo tutti uguali, sia maschi che femmine, perché animati dagli stessi timori, dagli stessi desideri, dalla stessa sensazione di sentirci inadatti. Per questo il libro è raccontato a due voci, perché il binarismo di genere che postula differenze nette, in realtà è un abbaglio. Entrambi i sessi percepiscono le stesse sensazioni di smarrimento e di non essere all’altezza. Se riusciamo a rompere questa scatola di stereotipi e di strategie più meno funzionali che ci trasmettono da sempre, con il maschio virile e la donna accogliente, e a diventare maggiormente permeabili ai rispettivi territori, avremo solo da guadagnarci. Mi piaceva in questa storia che alla fine questi due ragazzi, che scoprono di piacersi, capiscono che la soluzione del conflitto è quella di aprirsi con sincerità all’altro, di provare a costruire una lingua emotiva comune”.

È riuscito a tratteggiare molto bene i sentimenti del protagonista Marco, ma è stato eccellente con quelli della protagonista femminile Viola. Come ci è riuscito?

“Per questa domanda ci sono varie risposte, la prima, che è una battuta, è che dentro di me sono probabilmente una bambina di 10 anni, forse perché ho tre figlie e mi interessa molto il loro punto di vista sul mondo. Da scrittore, perché la scrittura sono i miei occhiali sulla realtà, il tentativo di comprendere meglio ciò che mi interessa davvero, il femminile mi incuriosisce moltissimo, proprio perché ho il desiderio di capire quanto sia difficile vivere costantemente esposte al giudizio degli altri, sia che riguardi il corpo, le possibilità o i pensieri, e stare in una società che ancora oggi è profondamente patriarcale e maschilista. Una società creata da uomini, pensata per fare in modo che il potere rimanga in mano loro. Quindi indossare questi occhi non miei, è un privilegio che la scrittura mi regala, e da cui cerco di trarre il massimo beneficio e il miglior insegnamento".

Quanto, in questo momento, i genitori e la scuola sono fondamentali, e quali sono gli errori che vengono fatti nei confronti dell’educazione dei figli?

“Per i genitori il compito più importante è quello di dare l’esempio. I ragazzi non amano discorsi e spiegazioni, soprattutto sulle questioni sentimentali. Se un padre e una madre hanno un rapporto di reciproco rispetto e riescono a tenere insieme la loro famiglia, mostrandosi uniti e coesi anche nelle difficoltà, e riescono a manifestare anche davanti ai figli, senza vergogna, una certa affettività fisica, come baciarsi, secondo me quello è un buon punto di partenza. L’altra cosa è la scuola, io credo che la maniera migliore di fare educazione affettiva, sia attraverso le storie, non invitando solo grandi esperti o psicoterapeuti, che sono comunque utili, ma non bastano. Quando a quell’età un ragazzo o una ragazza leggono una storia, è come se indossassero gli occhi del personaggio ed entrassero nella sua pelle. In quel momento anche se lui o lei non lo sa, sta letteralmente cambiando il mondo nella maniera più potente che esista, cambiando se stesso. In questo senso leggere buone storie può essere un ottimo veicolo per imparare la complessità dell’umano ed empatizzare con la diversità. Mi sento però di fare una piccola divagazione; c’è una grande diffusione di quelli che si chiamano young adult (è un genere letterario a cui solitamente appartengono tutti quei libri destinati ad un pubblico di adolescenti, più o meno dai 12 ai 18 anni di età, ndr). Ne fanno parte successi commerciali e best seller come Twilight e After, che paradossalmente ripropongono quegli stereotipi di cui parlavamo prima, con il ragazzo tenebroso, dal passato oscuro, che va sempre compreso e salvato, con infinita pazienza, dall’amore della ragazza. È un problema. Nel senso che, per carità, va pure bene, ma diamo loro da leggere anche altro, diversifichiamo il più possibile l’esperienza di lettura, non dico che a quattordici anni debbano leggere Dostoevskij o Simone de Beauvoir, ma apriamo la loro esperienza letteraria, anche rispetto alla letteratura contemporanea, perché più varia sarà la proposta di autori, ma soprattutto di autrici, più avranno confidenza con la loro parte emotiva e con il rispetto dell’altro. Le storie dovrebbero essere meno unilaterali possibili”.

La letteratura, e non solo quella per adolescenti, dovrebbe mostrare più uomini sentimentalmente sensibili e un po’ più fragili secondo lei?

“Soprattutto per quello che riguarda il maschile, la fragilità è una delle virtù più importanti, perché essere fragili non significa essere deboli. Leonard Cohen diceva che in ogni essere umano, in ogni cosa c’è una ferita che è fondamentale perché è proprio attraverso quella che entra la luce e la fragilità è quella che ci permette di aprirci agli altri”.

Il primo amore non si scorda mai. È vero? Perché?

“Il primo ci trova sempre privi di difese. È l’amore davanti al quale per definizione non ci proteggiamo, proprio perché è il primo, lo avviciniamo con fiducia.

Quel tipo di esperienza originaria lì, è molto difficile ritrovarla nel corso della vita, perché diventiamo tutti più cauti, spaventati e sospettosi e attenti, ma la verità è che quell’emozione originaria lì, a prescindere se la storia sia andata bene o male, la ricerchiamo come l’aria, perché è molti difficile metterla in pratica quando diventiamo adulti. Il punto è riconoscere quel tipo di energia, che ti fa rendere conto che l’importante è amare, e la prima volta che la sperimenti è una cosa potentissima, per questo ce la ricordiamo tutti”.

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