Ci sono inquietanti somiglianze fra l`epoca nella quale visse e operò Sant`Agostino e quella nella quale siamo oggi immersi: da una parte, la crisi di Roma e del suo grande impero, dall`altra la crisi della civiltà occidentale col ripudio delle sue radici cristiane e la tendenza a far prevalere i cosiddetti diritti umani sui doveri. L`elemento che avvicina queste due crisi, che le accomuna pur nella distanza dei tempi storici, è la «superbia», tanto degli antichi quanto dei moderni e ancor più dei contemporanei, che si risolve nella convinzione, pur declinata in diversi modi, che l`uomo possa costruire da solo il proprio Paradiso in terra.
Parte proprio da tale constatazione l`ultima suggestiva (e importante) opera di Marcello Pera dal titolo "Lo sguardo della caduta. Agostino e la superbia del secolarismo" (Morcelliana, pagg. 196, euro 18): un bel testo di filosofia che guarda all`oggi, alla crisi spirituale dell`Occidente e alla perdita della sua identità, proseguendo un discorso già avviato con finezza argomentativa in due precedenti volumi: "Cristianesimo e diritti umani" (Marsilio, 2015) e "Critica della ragion secolare. La modernità e il cristianesimo di Kant" (Le Lettere, 2019). Vi si ritrova un ritratto impietoso delle inquietudini del nostro tempo tratteggiato con intensa e incisiva pennellata: «secolarismo, scientismo, liberalismo, ecologismo, neo-umanesimo e trans-umanesimo, diritti individuali senza doveri, costumi senza confini, linguaggi purificati, opere dell`ingegno mortificate, storia censurata o cancellata: questo e altro sono i nuovi dei pagani a cui tributiamo i nostri sacrifici, culti, riti individuali e di massa. Salvo poi a ritrovarci sempre più avvolti nell`incertezza e nel disagio».
Anche un altro filosofo cattolico contemporaneo - peraltro rispetto a Marcello Pera di ben diversa formazione -, Augusto Del Noce, aveva pur egli denunciato tale situazione in un libro su "L`epoca della secolarizzazione" (Giuffrè, 1970, poi Aragno, 2015) mostrando come questo periodo, punto d`arrivo del «neo-illuminismo», si fosse caratterizzato per una crescente irreligiosità e per una significativa espansione dell`ateismo. Lo ricordo, naturalmente per incidens, a riprova del fatto che alla diagnosi dei guasti collegati al rifiuto o all`abbandono della tradizione è possibile pervenire seguendo argomentazioni e percorsi intellettuali diversi.
Pera, prima filosofo della scienza e poi esegeta di Karl Popper, angosciato dalla odierna deriva filosofico-esistenziale, ha trascorso molti anni a confrontarsi e a interloquire idealmente con due giganti del pensiero occidentale, Kant e sant`Agostino, più contigui di quanto generalmente non si pensi. Agostino, infatti, a sua detta, è il filosofo che ha fornito al cristianesimo la massima dignità speculativa, mentre Kant, schivando le trappole dell`illuminismo antireligioso, aveva pensato di elevare quel cristianesimo, appunto, a verità universale della «ragion pura». In altre parole, e semplificando, Agostino si era proposto di «cristianizzare la ragione» mentre il filosofo di Königsberg aveva pensato di «razionalizzare il cristianesimo».
Dopo aver sottolineato come questi due propositi abbiano finito per incontrarsi, Pera fa notare come diverso sia stato il loro destino storico: il progetto kantiano di unità fra ragione e cristianesimo, infatti, durò, e per di più contrastato, solo una stagione, mentre le idee di Agostino, pur caratterizzate da un pessimismo di fondo, hanno mostrato e mostrano tuttora una eccezionale capacità di far comprendere la modernità anche nei suoi aspetti più problematici. Un solo esempio: un passaggio dell`opera più celebre di Agostino, La città di Dio, riportato da Pera - quello laddove si parla delle discussioni fra intellettuali e delle molte e contrastanti versioni su eventi e idee - contiene in germe il principio della «equivalenza» di ogni verità, cioè, in altre parole, anticipa quel «relativismo etico» denunciato da Benedetto XVI, profondo cultore, non a caso, proprio del pensiero agostiniano.
Quando Agostino, allora vescovo di Ippona, cominciò a scrivere nel 412-413 la sua opera più celebre, appunto "La Città di Dio", che avrebbe concluso nel 426-427, qualche anno prima della morte, il cristianesimo si era ormai affermato nella società romana e l`Impero, per conversioni spontanee o indotte, era diventato cristiano. Eppure quel mondo, apparentemente al massimo della sua potenza, stava finendo: le orde barbariche guidate da Alarico avevano saccheggiato Roma e questo fatto aveva segnato l`inizio di quella crisi storica che era anche, prima e soprattutto, crisi morale. Non a caso, si diffuse la convinzione - semplicistica, ma, secoli dopo, fatta propria da storici formatisi nell`illuminismo, a partire dall`inglese Edward Gibbon - che il cristianesimo fosse all`origine del decadimento della potenza dell`impero romano.
Una crisi morale, comunque, quella alle origini della riflessione di Agostino, che coincideva con la decadenza della civiltà cristiana dell`Occidente simboleggiata dalla caduta di Roma e del suo impero. E che, paradossalmente, sembra trovare, ancorché in un contesto storico del tutto diverso, una replica estesa a tutto l`Occidente, il quale - a cominciare dalla Chiesa - attraverso un processo di generalizzata secolarizzazione ha ripudiato, in nome di una «superbia» intellettuale, quelle radici cristiane sulle quali erano state costruite la sua storia e la sua stessa civiltà.
Basandosi proprio sul parallelismo fra queste due grandi «crisi» morali ed epocali e, al tempo stesso, sostanziandosi di una lettura critica degli innumerevoli testi del filosofo cristiano, Marcello Pera intrattiene con Agostino una ideale conversazione su elementi della riflessione agostiniana, in particolare sui temi della politica e della libertà, suscettibili di essere utilizzati ancora oggi sia per capire quanto sta accadendo sia per poter incidere, in qualche misura, sulla realtà.
Alla base del pensiero agostiniano c`è l`idea della «caduta»: l`uomo, responsabile del peccato originario per la sua ribellione a Dio, non può liberarsi da solo, senza cioè l`aiuto divino della grazia, delle conseguenze di questo peccato. Comprensibilmente, uno dei possibili esiti di tale tesi è, in politica, la giustificazione della teocrazia. Ma non è l`unico esito possibile, perché, come ha sostenuto qualche studioso, è possibile cogliere una «inferenza liberale» nella teologia politica di Agostino.
Pensatore autenticamente liberale o se si preferisce conservatore liberale, Marcello Pera dedica alcuni capitoli del suo saggio a individuare i possibili punti di contatto fra la concezione agostiniana della società, dello Stato, della politica e taluni capisaldi propri del liberalismo contemporaneo. Così ci rendiamo conto che le due visioni, quella agostiniana e quella liberale, hanno elementi di analogia, per esempio, per quanto riguarda la preminenza dei doveri sui diritti, il primato dell`individuo sullo Stato, l`idea che lo Stato sia un male necessario, il rifiuto di ogni illusione salvifica ed escatologica...
Alcuni anni or sono, nel 2008, echeggiando il celebre saggio di Benedetto Croce Perché non possiamo non dirci cristiani, Pera pubblicò un volume intitolato Perché dobbiamo dirci cristiani di condanna del relativismo culturale contemporaneo.
In certo senso, il suo nuovo libro, al di là dello spessore teoretico che lo caratterizza, precisa, sul terreno della politica, molte intuizioni lì accennate facendo intendere come il ritorno alle riflessioni di Agostino rappresenti un antidoto alla crisi esistenziale del nostro tempo. Il libro potrebbe ben avere, come sottotitolo, «Perché non possiamo non dirci agostiniani».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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