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Teatro e "crime". Il delitto esige un palcoscenico

Marcello Simoni esplora il legame tra crimine e spettacolo. A partire da Bosch e "Grand Guignol"

Teatro e "crime". Il delitto esige un palcoscenico

Inizierei con un dipinto. Il Prestigiatore di Hieronymus Bosch. Al cospetto di una piccola folla raccolta davanti al suo banco, un bagatto vestito di rosso e nero gioca ai bussolotti, facendo sparire e ricomparire una pallina d'avorio da sotto un bicchiere. Ci troviamo all'inizio del Cinquecento, probabilmente ai margini di una piazza della quale si avverte, se ci lasciamo trasportare dalla suggestione trasmessa dall'immagine, l'intenso cicaleccio del volgo. Quel che tuttavia potrebbe sfuggirci è l'uomo del pubblico in prima fila, un sempliciotto intento a vomitare rane (forse a causa di qualche malia) e talmente concentrato nello sforzo di scoprire il trucco del prestigiatore da non accorgersi del tagliaborse rappresentato alle sue spalle nell'atto di derubarlo.

Mancano due secoli al momento in cui maghi, illusionisti e ciarlatani d'ogni genere saliranno sui palchi dei teatri di mezzo mondo per esibirsi davanti a ben più gremite platee di spettatori. Eppure, il genio di Bosch coglie già alla perfezione il nesso tra intrattenimento e crimine, enfatizzando il modo in cui il primo rappresenti la conditio sine qua non per il verificarsi del secondo. Uno sposalizio perfetto, oserei dire. Al punto da indurci a sospettare che, nel dipinto, il prestigiatore e il tagliaborse siano in combutta tra loro.

Il passo successivo, almeno per quanto riguarda il divertissement che mi ha portato a concepire la trama di Il teatro dei delitti, consiste nella trasformazione del crimine, attraverso il filtro del palcoscenico, in puro e autentico spettacolo. Non mi riferisco, come banalmente si potrebbe supporre, al messaggio nascosto tra le righe di qualche classico della letteratura gialla, bensì alla tradizione del Grand Guignol. Se infatti già Shakespeare ci aveva abituati a opere drammaturgiche in cui si verificavano i più efferati ammazzamenti, è nell'ambito di ben altra forma di teatro che il macabro più truculento si fonde al gioco di prestigio, assumendosi il compito non solo di sdilinquire, ma proprio di divertire.

Nato in un piccolo teatro di Parigi, a Montmartre, il quartiere degli artisti,

Le Grand Guignol inaugura alla fine del XIX secolo un genere, sfociato poi a Londra e in Italia, basato su drammi dai risvolti macabri e orrorifici che ritroviamo, tra l'altro, nelle pagine di Intervista col vampiro di Ann Rice. Punto nodale di queste rappresentazioni antesignane del cinema horror sono le messe in scena di morti di giovani e avvenenti attrici, tra le quali spicca la celeberrima Paula Maxa, la donna più assassinata al mondo. Strangolata, sventrata, stuprata, ghigliottinata, impiccata, squartata, bruciata viva, dissezionata, avvelenata, colpita da innumerevoli fucili e pistole caricati a salve e addirittura sbranata da un puma, Paula ha trasmesso a migliaia e migliaia di spettatori le classiche paure delle Penny Dreadful con l'aiuto di abili truccatori e degli effetti illusori delle macchine sceniche. Facendoci riscoprire la barbara fascinazione per la morte che Emile Zola, in Thérèse Raquin, attribuisce a miriadi di normalissime persone use ad assistere alle esecuzioni pubbliche e addirittura a frequentare la Morgue di Parigi, soprattutto se in attesa di deliziare i loro sguardi c'erano cadaveri di donne «con il seno nudo bene in vista».

Del resto, come scrive Edgard Allan Poe nella Filosofia della composizione, «la morte di una bella donna è, fuor di discussione, il più poetico argomento del mondo». Ed è proprio seguendo l'esempio di Paula Maxa e delle numerose attrici del Grand Guignol che, scrivendo le prime pagine del mio Teatro dei delitti, ho scelto di mettere in scena la decapitazione di una fanciulla durante una rappresentazione teatrale. Il mio scopo era quello di infondere nei lettori quel sentimento di sospensione tra il reale e l'immaginario, tra il certo e l'incerto, che trasmise P.T. Salbit quando, sempre in ambito granguignolesco, inventò il numero della donna segata in due. Un gioco di prestigio ripetuto infinite volte e in infinite varianti, sempre più verosimili ed efferate e al limite, diciamolo pure, di una malcelata misoginia fino ad approdare sul palco scenico in bianco e nero del film La nave della morte di Edward Southerland.

Torniamo ora, per un attimo, al Prestigiatore di Hieronymus Bosch. Senza questa pittura a olio, non sarei in grado di rendere il legame,

invisibile ma indissolubile, fra spettatori e teatranti. Il feeling tra chi recita sapendo di essere guardato e chi guarda sapendo di essere vittima di una rappresentazione fittizia della realtà. Il tacito patto tra due fronti contrapposti che, pur consapevoli di essere divisi da un'impalpabile barriera, interagiscono tra loro secondo una convenzione, un codice di buona creanza, che tuttavia, di tanto in tanto, viene scavalcato. Come quando Cyrano de Bergerac, facendosi largo tra gli spettatori della sala di Palazzo Borgogna, caccia dal palco il mediocre Montfleury. O come quando, in Assassinio in palcoscenico, Agatha Christie insinua tra gli attori la sua Miss Marple, facendola passare per una di loro.

Il tagliaborse del Prestigiatore rappresenta proprio questa crepa nello specchio. Quell'eccezione secondo la quale è possibile, a volte, che il crimine verificatosi a teatro non sia il frutto di un effetto scenico ma consista, contro ogni aspettativa, in un autentico crimine, fatto e compiuto. Proprio come il comparire del Fantasma dell'opera nei palchetti dell'Opéra di Parigi.

Ebbene, credo non ci sia nulla di più sconcertante di un'illusione che, di punto in bianco, si rivela una concreta realtà. Di un sogno che in un batter di ciglio diventa tangibile. Di una donna segata in due che, tra gli applausi scroscianti del pubblico, si scopre all'improvviso essere stata vittima di un autentico delitto.

Se c'è qualcosa di pirandelliano nel gioco di maschere di un giallo, in quel continuo nascondersi e

svelarsi animato dal motore immobile della ricerca della verità, nulla più del collocare questo genere di trame all'interno di una cornice teatrale potrebbe accentuarne l'effetto. E anche, forse, renderla più spaventosa.

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