Veltroni racconta la furia "antifascista"

In «La condanna» c’è tutto l’orrore del linciaggio insensato di Donato Carretta

Veltroni racconta la furia "antifascista"
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Il nuovo romanzo di Walter Veltroni, appena arrivato in libreria, si intitola La condanna (Rizzoli, pagg. 224, euro 18,50) e va a scavare in una delle storie più strazianti della Roma della Seconda guerra mondiale. Attraverso l’espediente narrativo di un’indagine giornalistica ricostruisce la vicenda, tremenda e vera, di Donato Carretta. Proviamo a raccontarla in breve. Il 18 settembre 1944 a Roma doveva aprirsi il processo in cui era imputato Pietro Caruso, ex questore della capitale accusato di corresponsabilità in decine di omicidi perpetrati dai nazi-fascisti. Donato Carretta era lì in qualità solo di testimone.

Come direttore di Regina Coeli c’è chi gli attribuisce di aver lasciato corso alle violenze ma c’è chi tra i partigiani gli riconosce un ruolo fondamentale nella fuga e nella protezione di molti detenuti. La guerra civile, si sa, pone le persone in ruoli sfumati di grigio. La folla presente in aula di sfumature capisce poco. Carretta viene assalito, c’è chi tenta di salvarlo ma è tutto inutile. Viene trascinato all’esterno, massacrato, gettato nel Tevere. Colpito con un remo mentre tenta di tornare a galla. Il libro descrive bene l’ingiustizia della furia sommaria. La necessità del diritto brutalmente sovvertita.
Insomma riflette in pieno il clima di un’epoca in cui il desiderio, legittimo, di giustizia per i crimini commessi da nazisti e fascisti finiva per trasformarsi, in non pochi casi, nella foglia di fico di una violenza insensata.

«Chi ama la libertà non può accettare che un uomo venga linciato e straziato in quel modo, senza un capo d’accusa, un processo». Parole di Veltroni, parole che in questo giornale abbiamo scritto spesso su quanto accaduto in quegli anni. Ci fa piacere che Veltroni ci abbia raggiunto.

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