Dopo Libia, Russia e Cina anche il Brasile nella rete di Berlusconi

Dopo Libia, Russia e Cina anche il Brasile nella rete di Berlusconi

RomaPeriodicamente cercano di riproporre le sue gaffes. Tentano di coinvolgere la stampa straniera nei processi di denigrazione. Si sfiancano nel tentativo di riempire i blog dei giornali nordamericani o europei con commenti pepati ed arcigni. Ma è fatica sprecata quella di tanti sinistri italiani, che il premier l’hanno sul gozzo che peggio non si può...
Silvio Berlusconi, come non mai, appare oggi uno dei pochi protagonisti della scena internazionale. Sigla un patto storico con Gheddafi, vola a Mosca a concludere intese culturali ed economiche. Poi s’affaccia in Kazhakistan e, oltre a propagandarne la nuova capitale, studia un nuovo piano di approvvigionamento energetico. Parte per Smirne - ci sarà mercoledì - per rassicurare l’amico Tayyip Erdogan che l’adesione della Turchia alla Ue resta nel suo mirino. Poi vira per Washington dove l’aspettano Bush e altri 18 «grandi ed emergenti» per mettere a punto la strategia anti-crisi. Il tutto dopo aver discusso (e fatto affari) col presidente brasiliano Luiz Inàcio Lula Da Silva, giunto ieri a Roma con la signora Marisa (il cui bisnonnno nacque a Pontida alla fine del 1800), e col quale s’incontrerà martedì a villa Madama.
Pensavano di averlo azzoppato con la storia dell’«abbronzato» rifilato a Obama. Ci hanno potuto marciare il breve spazio di un mattino. La telefonata di ringraziamento giunta da Chicago e, a quel che si sa, densa di riconoscimenti per la posizione degli «amici e alleati italiani» ha ancora una volta fatto smorzare il fuoco acceso dai Ds e dalla sinistra nostrana che volevano friggere il premier per lesa maestà.
«Non capisco - ha confessato del resto Berlusconi l’altro giorno a Bruxelles -. Prima mi davano dell’amerikano. Adesso si lamentano per la mancanza di una telefonata...». A capire non sono in tanti, almeno a livello politico. Non hanno realizzato che Berlusconi ha compiuto una secca cesura rispetto ai metodi della nostra «vecchia» politica estera che si basava sostanzialmente sul filoarabismo in funzione petrolifera, sostegno aperto in questo quadro ai palestinesi, poca voglia di missioni militari all’estero e appiattimento in Europa al binomio franco-tedesco cui si delegava la Ue.
Berlusconi che oggi si compiace un po’ dell’apparire come un «vecchio saggio» del consesso internazionale, pronto a dispensar consigli, ha ribaltato come un calzino la logica cara alla sinistra ed ereditata in gran parte dalla prima Repubblica. Sostiene decisamente Israele, pur mantenendo ottimi rapporti coi produttori del Golfo, investe in missioni militari (Irak, Afghanistan, poi il Libano ereditato, ma anche la possibilità di far da cuscinetto tra Russia e Georgia), spariglia le carte nella Ue, prima legandosi a Blair e ad Aznar che ne vedevano soprattutto il potenziale solo commerciale, oggi ad un Sarkozy che invece punta ad un più stretto coordinamento a cominciare dal delicato terreno economico.
È un Berlusconi su cui a tratti ironizzano per qualche sua uscita estemporanea («Forse faccio battute non geniali ma ho scelto di essere me stesso» confessò qualche tempo fa, senza imbarazzi), ma ormai conosciuto da tutti i leader del mondo, con parecchi dei quali - Bush, Putin, Mubarak, Blair - ha stretto rapporti di solida e autentica amicizia invitandoli in Sardegna o a tenere lezioni in una istituenda università del buon governo.
Ed è un Berlusconi cui la diplomazia italiana guardò quasi inorridita quando, preso l’interim del dicastero retto da Ruggiero, si presentò agli ambasciatori chiarendo che dovevano divenire i primi «piazzisti» del prodotto Italia. Quelli lo fanno magari ancora pochino. Lui va a Mosca e vende elicotteri e tecnologia ferroviaria, va in Cina e trova intese anche lì.

Passa in Libia e si fa promotore di una autostrada da far costruire a nostre imprese, parla con Sarkò e organizza nuove presenze tricolori nella costruzione del nucleare d’Oltralpe. Decolla per gli Usa e non dispera di mettere in piedi nuovi affari vantaggiosi per l’Italia. Cose da premier. Cose che a sinistra non piacciono.

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