
Se c'è un libro che si può tranquillamente consigliare a quanti abbiano qualche velleità di entrare nel mondo editoriale, come redattori, autori, traduttori, librai e via dicendo, quel libro è I meccanismi dell'editoria di Roberto Cicala, un testo ormai classico di cui ora esce una nuova edizione aggiornata (Il Mulino). E questo perché Cicala sa quello che dice, essendo un addetto ai lavori da decenni, in qualità di studioso, docente universitario, editore in proprio (Interlinea) e tutto quello che ciò comporta nel rapporto con la cosiddetta «filiera editoriale».
Un passaggio dopo l'altro, Cicala spiega tutto quello che si annida dietro la produzione di quel parallelepipedo di carta accumulato nelle nostre case, nelle biblioteche, nelle librerie, nei magazzini, in attesa che se ne faccia qualcosa a parte leggerlo. Perché quello di essere letto è forse oggi il destino meno probabile per un libro. Delle decine di milioni di copie stampate in Italia, solo l'anno scorso se ne sono vendute circa due milioni e mezzo in meno che nell'anno precedente (dati dell'Associazione italiana editori). Del resto, quando escono circa 80mila titoli all'anno e si viene a sapere che di essi almeno il 90% vende meno di cento copie (per non parlare di quelli, la maggioranza, che non ne vendono neanche una) qualche domanda uno comincia a porsela.
E poi c'è un fattore cruciale, che Cicala ben evidenzia: l'evoluzione tecnologica. Citando una premonizione di Isaac Asimov sulla scomparsa del libro di carta, si interroga sul significato stesso del termine «libro». Se finora siamo abituati a pensarlo come un oggetto «chiuso», autoconclusivo, e a consultarlo come tale, sfogliandolo, d'ora in poi dovremo tenere presente che può anche definirsi come una base per lo sviluppo della conoscenza attraverso la cosiddetta realtà aumentata. Un libro, sia esso in formato digitale, leggibile per esempio su un tablet, in formato e-book o pdf, ma anche cartaceo, può contenere codici QR che rimandano ad audio, video, link e collegamenti, in una serie di connessioni teoricamente infinita.
Tralasciando gli aspetti tecnici della questione (tutti ampiamente illustrati nel testo), cerchiamo di dirla in soldoni: miliardi e miliardi di collegamenti ipertestuali, una volta organizzati, si trasformano in chatbot (chat + robot), vale a dire in una forma di interlocuzione con il lettore, il quale non sa più bene con chi stia parlando. La rivoluzione dell'intelligenza artificiale generativa contiene un rischio enorme: essere informati di tutto senza in realtà sapere niente. La Treccani dovevi sfogliarla e andartela a studiare, invece la Rete risponde immediatamente a ogni domanda, ma sulla base di tutto ciò che socialmente è stato detto (un'intuizione già di Umberto Eco). Più che informarsi si viene in-formati, dunque plasmati. E hai voglia a imporre giuridicamente alle aziende di software di utilizzare contenuti protetti da copyright. Le maglie delle leggi sui diritti d'autore saranno sempre troppo larghe.
Attenzione poi a certe professioni, come quella del traduttore. Sembra che l'IA possa tradurre dal giapponese all'inglese a una velocità 500 volte superiore a quella di un essere umano, e con analoga accuratezza stilistica. Che cosa resta all'essere umano? La supervisione, un'attività assai più arida e frustrante...
Dall'interconnessione totale all'appiattimento il passo è breve. Resta spazio per l'interpretazione del testo, che è pur sempre soggettiva e richiede una cultura personale di cui non tutti dispongono. Un concetto interessante che Cicala mette in luce riguarda l'internazionalizzazione dei testi. Gli editori italiani producono moltissimo anche nella speranza che i loro prodotti vengano tradotti all'estero, dove il mercato è ampio. E poiché la maggiore potenza di fuoco appartiene a tre o quattro gruppi editoriali, le loro politiche rischiano di schiacciare tutto sulla ricerca di un linguaggio che, per essere compreso nel mondo, trascuri la componente linguistica specifica del nostro paese. Scenario: libri molto vicini al nostro parlato vengono tradotti in un idioma piatto che soddisfi i palati australiani o cinesi. Tanto vale non tradurli, anzi, non pubblicarli affatto.
In un'Italia dove la metà degli abitanti non legge assolutamente niente e ben più della metà non compra mai un libro, hanno ancora senso certe domande? Resisteranno le librerie indipendenti? Si terranno ancora gruppi di lettura? Il libro manterrà una sua fisicità tangibile? Qui si cerca, più che di dare risposte certe, di immaginare scenari possibili. La frontiera digitale si muove in altre direzioni, oltre a quelle già citate. È in crescita per esempio il fenomeno degli audiolibri e dei podcast. Ascoltare un libro o qualcuno che ne parla equivale a leggerlo o a leggere una recensione? Di sicuro contribuisce a diffonderne il contenuto.
E non si pensi che l'autopubblicazione, anch'essa favorita dalla tecnologia digitale, sia preferibile
alla mediazione editoriale, anzi. Perciò, nonostante un diffuso pessimismo, l'autore di questo saggio esaustivo lancia un messaggio fiducioso: «La morte annunciata del libro è ancora una volta, e forse per sempre, rinviata».
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