L'Impero del romanzo: l'Africa coloniale adesso colonizza il noir

In un nuovo "giallo" intrighi e indagini nel caos dell'Etiopia italiana. Ma è solo l'ultimo di una serie

L'Impero del romanzo: l'Africa coloniale adesso colonizza il noir

«Presto i ribelli saltarono loro addosso. Il Maggiore si sentì buttato a terra e non poté frenare i lamenti. Maharenà riuscì ancora a difenderlo con la sua persona: si abbatté, col cranio fracassato da un colpo di scimitarra. Aveva voluto guadagnarsi il titolo di basciai. Ma non valse a nulla: il maggiore Feletti non gli sopravvisse che di pochi istanti. Il tenente Dall'Oro si difese disperatamente coi denti, le mani, i piedi. Poi un colpo violento lo fece tramortire, e non sentì più nulla. Mezz'ora dopo si alzò sull'orizzonte una grossa falce di luna calante. Sul campo di battaglia si udivano grida selvagge dei vincitori e lamenti di moribondi. Nelle pause, giungeva dal fondo della valle il rumore sordo del torrente in piena. L'acqua scorreva sempre. Era la notte sul 31 agosto 1937, or sono tre anni». È l'ultima pagina de La colonna Feletti, l'esordio letterario di Giuseppe Berto, partito volontario per l'Africa Orientale, e lì rimasto per quattro anni. Il critico Cesare De Michelis coglie l'aspetto quietamente provocatorio del racconto uscito a puntate nel 1940: è la storia eroica di una disfatta italiana durante la guerra d'Etiopia. Poco in linea con i desideri della propaganda.

Berto scriveva dal cuore degli eventi coloniali dell'Impero. Come altri. Filippo Tommaso Marinetti raccontò il fronte etiope ne Il poema africano della Divisione 28 ottobre (1937). Indro Montanelli si trovò a combattere in Etiopia e ne trasse il romanzo XX Battaglione eritreo, pubblicato nel 1936 e parte di un trittico che comprende anche Guerra e pace in Africa Orientale (1937) e Ambesà (1938). Era stato in Etiopia anche Ennio Flaiano. Dove ambienta Tempo di uccidere, il romanzo d'esordio subito premio Strega (Longanesi, 1947). Dal cuore degli eventi arriva anche la memorialistica. Tra i personaggi di primo piano, si veda, ad esempio, Fronte Sud di Rodolfo Graziani, prima generale poi Vice Re d'Etiopia, volume pubblicato nel 1938 da Mondadori, prefazione di Benito Mussolini. Un bestseller da duecentomila copie, utile non solo per i rilievi strategici sul Corpo di spedizione in Somalia. Tra i personaggi meno noti, è appena uscito VI Battaglione Libico, diario della campagna d'Etiopia di Carmelo Sirianni (Viella, 2016). Per cambiare drasticamente genere, quale influenza ha avuto il Corno d'Africa sui disegni di Hugo Pratt, cresciuto nelle colonie al seguito del padre ufficiale dell'esercito? Incalcolabile, al punto da aver dato vita alla saga delle cosiddette Etiopiche, protagonista Corto Maltese, e a quella degli Scorpioni del deserto. Abbiamo citato qualche esempio più o meno noto, ma la letteratura coloniale è vasta e riguarda molti autori: Mario Appelius, Mario Tobino, Alfredo Oriani, Enrico Corradini, Giovanni Pascoli, Gabriele d'Annunzio, Orio Vergani, Riccardo Bacchelli...

La polemica storica sulla natura del colonialismo italiano non è certo finita, anzi si ripresenta ciclicamente. Tuttavia, negli ultimi anni, si segnala un filone narrativo imparentato col noir, ambientato nel Corno d'Africa. Fiction, dunque, con obiettivi e risultati diversi. Talvolta l'Africa orientale è soltanto uno sfondo esotico anche dal punto di vista linguistico. Ma ci sono tentativi più articolati e convincenti. Nel sogno dell'Impero si riflettono spesso i peggiori incubi dell'Italia, che resta un'Italietta, come certi rovesci militari lasciano intuire. Burocrazia, servilismo, arrivismo, corruzione: Addis Abeba non è diversa da Roma. Poi ci sono le pagine infami, i campi di concentramento o l'iprite o la repressione violenta. Ma non è tutto mortificazione nazionale. Le colonie sono presentate anche come un laboratorio sociale, economico, architettonico, culturale. Con vantaggi non episodici per la popolazione indigena. È un mondo di avventurieri talvolta con un forte senso della giustizia, anche se vestono la camicia nera o eseguono ordini di generali incoscienti.

L'ultimo arrivato è I fantasmi dell'Impero (Sellerio, pagg. 542, euro 15) di Marco Consentino, Domenico Dodaro e Luigi Panella (rispettivamente esperto di relazioni istituzionali, business lawyer e avvocato penalista). I plotoni d'esecuzione lavorano a pieno ritmo dopo l'attentato al Vice Re d'Etiopia Rodolfo Graziani. La guerra, in teoria, è finita, ma i ribelli agitano intere regioni e riescono a colpire anche nelle città più importanti. Dalle province più lontane giungono notizie di insurrezioni e rappresaglie spietate. La resistenza etiope ne esce rafforzata. Il colonnello Vincenzo Bernardi, magistratura militare, è incaricato dell'indagine da Graziani in grave difficoltà. Forse a Roma qualcuno pensa di sostituirlo. È tutto come sembra, un caso di crimini di guerra? In realtà il colonialismo italiano è faccenda complessa da districare. Bisogna tenere conto di molti fattori di instabilità: la possibile resa dei conti tra monarchia e fascismo; le rivalità tra gerarchi in camicia nera e alte sfere dello Stato Maggiore; a un livello più basso la competizione tra milizie nere ed esercito. La vicenda è ispirata a documenti d'archivio, e accompagnata da un corpus fotografico che ritrae i protagonisti, molti dei quali realmente esistiti. Tra l'altro, in scena ci sono anche Graziani, Mussolini, Badoglio. Il libro funziona al netto di qualche scena troppo compiaciuta di violenza e di erotismo. Merito dell'abilità con cui nel romanzo finiscono ingredienti diversi dalla narrativa pura: dispacci, rapporti, lettere. L'epilogo si svolge in un dopoguerra ancora in attesa di una vera giustizia. Ma cos'è la vera giustizia in guerra?

Posto d'onore in questa rassegna di gialli coloniali spetta a Giorgio Ballario, l'inventore del maggiore Morosini. Ballario ha scritto tre romanzi noir ambientati nel Corno d'Africa: Morire è un attimo (Edizioni Angolo Manzoni, 2008), Una donna di troppo (Edizioni Angolo Manzoni, 2009), Le rose di Axum (Hobby & Work, 2012). Il maggiore appare anche in due racconti ambientati in Eritrea e contenuti nelle antologie Neronovecento (Cordero, 2013) e Sbirri di regime (Bietti, 2015). Carlo Lucarelli ha scritto tre libri coloniali: L'ottava vibrazione (Einaudi, 2008), dove il piatto forte è la ricostruzione della disfatta di Adua, e due gialli canonici, protagonista il capitano dei carabinieri Piero Colaprico: Albergo Italia (Einaudi, 2014) e Il tempo delle Iene (2015). Vicini al giallo sono Debrà Libanòs di Luciano Marrocu (Il Maestrale, 2002), che richiama la terribile repressione dei monaci copti sospettati di aver attentato alla vita di Graziani; e Mattino a Irgalem di Davide Longo (Fandango, 2001), storia di un processo su fatti atroci ambientati nell'Etiopia del 1937.

Uscendo dal giallo, segnaliamo ancora Il sogno del settimo viaggio di Tommaso Besozzi (Fazi, 1999) che riunisce articoli e reportage scritti dal giornalista nel secondo Dopoguerra fra gli italiani sradicati ma rimasti in Africa dopo la caduta dell'Impero; e L'inattesa piega degli eventi di Enrico Brizzi (Baldini Castoldi Dalai, 2008), romanzo ucronico che immagina il campionato di calcio dell'Africa orientale italiana rimasta colonia anche dopo la guerra (l'Italia infatti non si è schierata con la Germania).

Il colonialismo non ha ancora colonizzato le librerie, ma quasi ci siamo. Vedremo se saprà entrare anche nel dibattito politico. Il tema del corretto rapporto col nostro passato «africano», visti i rivolgimenti epocali a cui assistiamo, dovrebbe essere centrale.

Non a caso, lo è in un Paese come la Francia, dalla storia coloniale molto più vasta e tragica. Un capitolo particolarmente acceso delle recenti elezioni presidenziali, a Parigi, si è giocato proprio sul valore da conferire a quell'esperienza. A Roma, come sempre, tutto tace.

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