Discutiamo del passato e non vediamo le nuove sfide

Sinistra e destra litigano sul fascismo. Ma non hanno nulla da dire sulla tecnica e sull’incombente mutazione antropologica

Discutiamo del passato e non vediamo le nuove sfide

Indietro tutta era il titolo di una divertente trasmissione di Renzo Arbore. Ma potrebbe anche essere lo slogan della cultura italiana, ammalata di passato.

Passiamo in rassegna, a passo spedito, i due principali schieramenti politici. La sinistra pare incapace di andare oltre il 1945. Ora e sempre Resistenza, anche se non c'è niente al quale resistere, se non alla tentazione di lanciare accuse infondate e affermare, con tono ispirato, banalità sconcertanti. Quando la sinistra si concede una botta di vita e un salto nel futuro (remoto) arriva al massimo alle lacrime su Enrico Berlinguer. Oltre non si va. L'editoria, in Italia tradizionalmente schierata dalla parte del potere culturale, propone raffiche di titoli uno uguale all'altro, si va dalla Marcia su Roma al declino del Duce, con insensati paragoni con il presente. A destra siamo messi altrettanto bene. Mostra simbolo del nuovo corso: Tolkien, un lampante omaggio alla stagione dei Campi Hobbit anni Settanta, quindi alla lontana gioventù di molti fratelli d'Italia. Altri personaggi in pieno spolvero: Antonio Gramsci, Giovanni Gentile, Filippo Tommaso Marinetti, Gabriele d'Annunzio, Giovannino Guareschi. La macchina del tempo, destinazione futuro, è maneggiata con scarsa consapevolezza. Ecco dunque Elon Musk diventare l'eroe della destra. L'imprenditore piace per alcune sue posizioni filo-mercato (non a tutti) e anti-immigrazione (a tutti). Peccato, però, che incarni il contrario dei valori della destra, essendo impegnato a costruire un avvenire tecnologico e post umano.

Per il resto, tutti uguali, è un disco rotto: il fascismo, l'antifascismo, il nazismo, lo stalinismo, la guerra civile, gli anni di piombo. Il Novecento non finisce mai di fare danni: è la nostra condanna. Nessuno nega che i nomi e i temi ai quali abbiamo accennato siano interessanti e nessuno nega che la conoscenza storica abbia sempre bisogno di essere aggiornata. Ma è impensabile che la cultura non getti uno sguardo su ciò che arriva, anche perché ciò che arriva è una rivoluzione, senz'altro tecnologica ma probabilmente anche antropologica. Mentre l'Europa si riduce a fare la parodia del passato, fascisti e comunisti sono figure ormai grottesche, il resto del pianeta va avanti. Basta fare una gita oltre le colonne d'Ercole per accorgersi che noi occidentali siamo considerati immorali e decadenti dalle altre civiltà. Siamo rimasti solo noi, forse neanche noi, a reputarci superiori agli altri popoli della Terra. Quando avranno colmato il gap tecnologico-militare verranno ad assestarci un bel calcio. Ma non è detto: forse si limiteranno a comprarci pezzo dopo pezzo. Tutto sommato la guerra è una roba da poveracci, da strage appunto novecentesca, come lo scontro tra Ucraina e Russia, non a caso venduto all'opinione pubblica come il remake della Seconda guerra mondiale. Oggi non serve il piombo se hai l'oro. Perché distruggere Parigi o Roma? Meglio trasformarle in un enorme villaggio vacanze.

Mentre ci scorniamo su temi ormai superati, in silenzio, nei centri tecnologici e finanziari, si decidono le sorti dell'umanità senza consultare nessuno. Bioetica, intelligenza artificiale, neuroscienze, transumanesimo, ricerca farmacologica, impatto sociologico dell'uso massiccio o addirittura unico delle macchine nella produzione, fine del lavoro, reddito di cittadinanza universale, criptovalute, fusione dell'artificiale e del biologico. Qualcuno pensa di realizzare una (turpe) fabbrica dell'uomo, come nel romanzo Il mondo nuovo (Mondadori) di Aldous Huxley. Ma queste cose non entrano nel dibattito italiano sebbene siano oggetto di bestseller mondiali come i saggi di Yuval Noah Harari (in Italia editi da Bompiani).

Anche l'analisi del mondo economico è superata. Dire «capitalismo» non basta, anche «neoliberismo» non spiega più nulla. Non ci sono più le multinazionali di una volta. Oggi siamo di fronte a colossi dallo statuto estremamente incerto. Facebook è un social network o una nazione indipendente, ammesso che abbia senso utilizzare un termine così connotato storicamente come nazione? Quali servizi offrono realmente aziende come Amazon o Tesla, che pensano di portare l'umanità su un altro pianeta? Cosa significa il fatto che l'affare del presente e del futuro, nella Silicon Valley, sia diventato l'immortalità? È giusto o pericoloso che tali giganti siano posti sotto controllo dallo Stato? È giusto o pericoloso che intrattengano rapporti con i partiti politici? Quanto vale l'uomo della strada? Forse è stato elaborato un metodo per fissare una cifra, senza che ce ne accorgessimo. Forse un uomo vale quanto la scia di dati personali che lascia nel mondo digitale... Domande che si pongono, per citare due testi recenti, il reportage La valle oscura (Adelphi) di Anna Wiener e il romanzo Maniac (Adelphi) di Benjamin Labatut. Ma simili questioni sono già entrate nella letteratura di massa, esemplare Zerok (Einaudi) di Don DeLillo.

Ovunque il duello, se vogliamo usare termini del passato ma calzanti, è tra tradizione e secolarismo.

Noi assistiamo al crollo di una società millenaria, che era fondata su Cristo e sui valori del cristianesimo, come avvertiva decine di anni fa, inascoltato, Augusto Del Noce. Non sappiamo cosa arriverà dopo. Di certo, in questo momento, rischiamo di dimenticare cosa sia un uomo e quanto siano stati disastrosi i tentativi di «migliorarlo». In questo, sì: il Novecento è maestro. Però cattivo.

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