In ogni parola c’è un destino. Non dev’essere un caso se influenza deriva dal verbo influire («agire su qualcosa o qualcuno in modo da determinare particolari effetti o conseguenze»). Sullo Zingarelli l’influenza intesa come «malattia infettiva acuta, contagiosa, specialmente delle vie aeree superiori, di origine virale» è l’ultima di cinque definizioni, preceduta da tutti gli altri significati che questo sostantivo assume quando parliamo di astrologia, astronomia, fisica, politica, cultura e soprattutto di rapporti interpersonali e di opinione pubblica. Dunque la diagnosi è presto fatta: siamo tutti influenzati dalle notizie sul virus H1N1, più che dall’agente infettivo. L’eccesso di informazioni controverse e contraddittorie, veicolate senza criterio da televisioni, radio e giornali, ha fatto salire rapidamente la febbre. Direi che siamo a 39. In capo a pochi giorni arriveremo a 40. Dopodiché cominceranno le convulsioni. E, quel che è peggio, non si vede in giro uno straccio di medico che sappia stilare una prognosi e prescrivere una cura per questo babelico chiacchiericcio scatenato dall’influenza A, detta anche suina, o, per certi buontemponi che non si lasciano impressionare dalle brutte notizie, influenza maiala. Da questo punto di vista il virus H1N1 ha già vinto la sua battaglia.
Il vaccino non è ancora disponibile (non per tutti, almeno) e gli italiani devono fronteggiare il peggiore dei sintomi: la paura. Tuo figlio tossisce e ha qualche linea di febbre: che fai? lo metti a letto? gli dai la Tachipirina? chiami la guardia medica? telefoni al 118? lo porti al pronto soccorso? Conosco genitori che sono ricorsi al farmacista di fiducia, piatendo la fialetta immunizzante, magari venduta sottobanco. Come se il vaccino potesse proteggere quando l’influenza, suina o tradizionale che sia, è già conclamata. Una psicosi da peste manzoniana.
Ha un bel dirmi il professor Silvio Garattini, direttore dell’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, dunque un’autorità in materia, che l’influenza A è una sindrome benigna, meno grave dell’influenza stagionale; che le analisi più recenti confermano la bassa aggressività osservata nel virus isolato ad aprile; che ogni anno in Italia l’influenza tradizionale uccide dalle 5.000 alle 8.000 persone senza che la stampa si sia mai degnata di scrivere una riga sull’ecatombe; che i pochi pazienti deceduti finora per la «suina» erano già debilitati da altre gravi patologie. Ma pensate al povero cristo di lettore, che nel giorno di Ognissanti trova sulla prima pagina del Corriere della Sera un corsivo di 19 righe, sovrastato dal titolo «Perché è sbagliato rassicurare troppo», e legge: «È vero, la nuova influenza è meno letale di quella stagionale. Ma è anche vero che i casi gravi riguardano di più i bambini tra i 5 e i 14 anni, spesso sani, e che un terzo circa dei morti è giovane (2-27 anni). E questo l’influenza stagionale non lo fa. Non solo: l’uno per cento di tutti i colpiti dal virus A H1N1 negli Stati Uniti e nell’emisfero Sud è stato ricoverato. Una buona parte in rianimazione, con respirazione assistita anche per 90 giorni. E anche questo non accade con l’influenza stagionale».
Oddio, si potrebbe obiettare al primo quotidiano italiano che anche l’altra volta, per l’influenza aviaria, l’allarme partì proprio dalla prima pagina del Corriere, con un editoriale in cui Gianni Riotta specificava che il virus H5N1 «potrebbe riuscire, invisibile, nel disegno di morte e devastazione che Osama Bin Laden va perseguendo», profetizzava che «sei miliardi di donne, uomini e bambini resteranno in balia del virus, il confine tra Paesi ricchi e Paesi poveri diverrà invalicabile dogana di vita o di morte», per concludere che «gli epidemiologi hanno stime macabre, le più pessimistiche, spesso lasciate in sordina per non allarmare: calcolano un miliardo di casi nel mondo e 360 milioni di morti, con strage in Africa tra le popolazioni già indebolite dall’Aids». Invece, grazie a Dio, dal 2003 a oggi i casi di influenza aviaria nel mondo intero sono stati 397 e hanno provocato 249 decessi (avete letto bene), nessuno dei quali in Africa, men che meno in Europa o nelle Americhe (fonte: Organizzazione mondiale della sanità, dati aggiornati al 19 gennaio 2009).
Allora, di che cosa stiamo parlando? Io non l’ho ancora capito. Per carità, può darsi che stavolta si prepari il giudizio universale, prima o poi dovrà pur capitare (nel qual caso anche una vaccinazione servirebbe a poco). Tuttavia, sulla scorta dell’esperienza passata, è probabile che l’influenza dei maiali, per quanto temibile, alla fine non faccia molti più danni di quella dei polli. Mi assiste, nell’ottimistica previsione, la matematica, materia nella quale peraltro sono scarsissimo. Vediamo: dal 27 luglio al 18 ottobre 2009 ci sono stati in Italia 1.710 casi di influenza A, per un totale di 4 decessi (ultimo rapporto ufficiale dell’Istituto superiore di Sanità). Facendo una proporzione con i 397 casi e i 249 decessi registrati in sei anni per influenza aviaria nel mondo, è evidente che se il tasso di mortalità della prima fosse uguale a quello della seconda a quest’ora avremmo già dovuto avere 1.072 morti. Il 26.700% (ventiseimilasettecento!) in più rispetto ai 4 effettivi.
Comunque voi, cari lettori, non fidatevi di nessuno, neppure del sottoscritto.
Però un piccolo consiglio, da genitore di due studenti che per la giovane età sono potenzialmente a rischio, sento di potervelo dare, sotto forma di domanda retorica: fra gli amici dei vostri figli, nelle scuole che frequentano, nella città dove abitate, siete a personale conoscenza di qualche caso di contagio da H1N1? Nel frattempo, si potrebbe fare così: sui mass media la smettano di starnazzare sedicenti esperti, primari ospedalieri, conduttori televisivi, giornalisti, maestre d’asilo, madri, padri, nonne, zie e parli soltanto uno, Ferruccio Fazio, che non è soltanto il viceministro alla Salute ma anche l’unico italiano titolato a esprimersi sull’epidemia con cognizione di causa, visto che è stato nominato responsabile dell’unità di crisi per la sorveglianza e la prevenzione del virus A H1N1. Dalla faccia mi sembra un tipo serio. Ed è anche un medico, che di questi tempi non guasta.Stefano Lorenzetto
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.