Jürgen Boos, da vent'anni a capo della Buchmesse di Francoforte, fa gli onori di casa: «È il momento giusto per avere l'Italia come ospite d'onore». L'invito è stato deciso tempo fa e dunque non è affatto una affermazione politica. In effetti, il momento è giusto per vari motivi: l'Italia cerca una strada diversa, pluralista, dopo decenni di conformismo che hanno reso la cultura asfittica e dunque, ammettiamolo, poco vitale. La Buchmesse, alla 76esima edizione, è la fiera del libro più importante della nostra parte di mondo. L'Italia è ospite per la seconda volta (la prima risale al 1988). Per combinazione, tocca al centrodestra gestire l'evento che vede protagonista il nostro Paese. Una buona riuscita sarà il modo migliore di dimostrare che le intenzioni, in campo culturale, sono serie, e non velleitarie, come si sostiene a sinistra.
Alla inaugurazione nel Congress Center, e poi nel Padiglione nazionale, gli oratori provano a volare alto, come deve essere. A parte il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, ce n'è per tutti i gusti, da Carlo Rovelli (l'unico, in assoluto, a leggere in inglese, tutti gli altri hanno parlato nella propria lingua) a Susanna Tamaro, passando per il nostro Stefano Zecchi di cui ieri abbiamo pubblicato l'intero discorso, recuperatelo. Scienza, filosofia, letteratura. Destra, sinistra. Il tema della nostra delegazione è «Radici nel futuro». Quello dell'intera Buchmesse è «Leggi, rifletti, confrontati».
Negli interventi istituzionali di parte tedesca si insiste sulla democrazia e sul ruolo della letteratura nella difesa della libertà. Il ministro tedesco della Cultura Claudia Roth evoca roghi di libri in Ucraina e innegabili tendenze alla censura in Cina e altri Paesi dispotici. Tutto giusto, bello e nobile. Purtroppo la letteratura se ne frega delle prediche, e se è buona, di solito, divide. Altrimenti ieri sera si sarebbe salvato il mondo in poco più di un'ora, fermando anche un paio di guerre.
L'intervento più atteso è quello del ministro Alessandro Giuli, accolto da una isolata contestazione di un esagitato che non viene nemmeno accompagnato fuori, se ne va da solo. Giuli/1: «La letteratura è la nostra religione civile, e affamare la cultura è cosa empia». Giuli/2: «Noi siamo eredi di un pensiero universalistico, che dall'Antica Roma a oggi, passando per l'Umanesimo rinascimentale, ha sempre mirato alla centralità della persona, consentendo al nostro sguardo di oltrepassare i confini nazionali senza rinunciare alla centralità dell'idea di Stato nazionale; e tutto ciò superando la boria delle nazioni e la boria dei dotti, secondo la lezione di Giambattista Vico, convinti come siamo che non esistano forme immutabili, cristallizzate, definitive, di assetti politici e civili». Giuli/3: «Non ritengo vano sottolineare la mia missione istituzionale di ministro della Cultura intenzionato a rappresentare la sacrosanta libertà d'espressione d'ogni forma di dissenso, compreso quello che possa ritorcersi nei confronti del governo cui mi onoro d'appartenere». Il discorso, con un suggestivo passaggio sul pensiero solare e mediterraneo, si tiene alla larga dalla retorica e ha il coraggio di abbracciare anche il dissenso. Giuli raccoglie molti applausi.
La cerimonia si sposta nel Padiglione Italiano, un'opera d'arte disegnata da Stefano Boeri. Ha la solennità dell'agorà ateniese attenuata dalla familiarità di una piazza di paese dove (forse un tempo) gli italiani erano soliti discutere. È il commissario Mauro Mazza a dare il benvenuto: «Se avessi potuto scegliere due motti anziché uno per questa nostra partecipazione, oltre a Radici nel futuro avrei voluto anche La cultura che unisce.
Abbiamo portato a Francoforte un programma di voci diverse, non scontate e le faremo confrontare in un Padiglione che difficilmente verrà dimenticato qui alla Buchmesse». Si finisce con Fratelli d'Italia, nella interpretazione di Frida Bollani Magoni.
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