Sarebbe bello che l'Occidente rispettasse in pieno quello che è il suo retaggio culturale più profondo: la democrazia. Un retaggio che partendo dalla Grecia classica si è evoluto sino al nostro sistema politico attuale. La democrazia liberale è imperfetta e lo sa, proprio per questo vive benissimo anche se è sottoposta a critica, anzi, è nella sua natura essere sotto esame, migliorata. Ma un conto è la considerazione churchilliana che «la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate finora», un'altra è il cortocircuito che ha portato un pezzo d'Occidente a provare simpatia, o almeno a manifestare tolleranza, per una serie decisamente lunga di dittature, teocrazie illiberali, teocrazie dittatoriali, califfati, false democrazie... Che questo sia accaduto, poi, dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo di un tocco del mondo comunista (la Cina è rimasta al suo posto e non era un dettaglio) è quasi incredibile, eppure all'interno dei Paesi occidentali ha continuato a prosperare una sotterranea simpatia per gli autoritarismi.
Lo dimostra bene, nel suo ultimo saggio - Occidente. Noi e loro (Piemme)- Daniele Capezzone, da sempre un pensatore radicalmente libertario, che fa un'analisi senza sconti (né a destra né a sinistra) della tendenza alla resa ideologica e materiale che aleggia in Europa, e non solo, nei confronti degli autoritarismi. Capezzone (che tra le tante cose è anche direttore editoriale di Libero) che nell'analisi si muove tra la scienza politica e la cronaca degli ultimi mesi - mesi esplicativi e densi visto che più di un analista ci vede un prodromo di guerra mondiale, o una guerra mondiale a pezzi - parte da un fatto molto italiano ma piuttosto significativo: la festa del 25 aprile.
Prende atto che una festa che dovrebbe essere unificante è diventata altamente divisiva. Che a sinistra è diventata un'occasione rumorosa per prendere di mira gli avversari politici scagliando contro di loro accuse di fascismo piuttosto improbabili. Però nella realtà che effetti ha questa chiamata a combattere la dittatura? Perché se poi si tratta di riflettere sul fatto che ci vorrebbe un 25 aprile per i russi oppressi dal sistema autocratico di Putin, un 25 aprile per i cinesi e ancor di più un 25 aprile per gli iraniani o i cubani, la spinta libertaria si spegne subito.
Per usare le parole di Capezzone: «Al solo orecchiare un argomento del genere, i nostri compagni di sinistra (e pure qualche residuato antiatlantista di destra...) tendono a storcere il naso e la bocca, ad alzare il sopracciglio, e soprattutto a recitare le loro ben note formule prestampate: no all'esportazione della democrazia, no alla pretesa superiorità del modello occidentale, no all'unilateralismo...».
Come spiega Capezzone è una scelta di resa pericolosissima perché le dittature e gli oltranzismi religiosi, in primis quello islamista, tirano dritti per la loro strada.
Quando il guardiano è debole, e il guardiano sono soprattutto gli Usa perché l'Europa fatica ad assumere un ruolo, chi è disposto a far ricorso alla forza militare per sovvertire l'ordine si sente autorizzato a farlo. La presidenza Biden ha trasmesso questo tipo di segnale, secondo Capezzone, in modo quasi fisico. E poi non si è riusciti a correre ai ripari in modo adeguato. Se non ci si riesce, se l'Occidente non si mostra compatto e motivato, secondo Capezzone il rischio è quello di «consegnare al mondo un solo messaggio: che l'Occidente è disposto a mettere in discussione l'intero ordine post 1945. Le democrazie occidentali sono dunque chiamate a una scossa, hanno il dovere di non rassegnarsi, di ritrovare l'orgoglio per i valori che dovrebbero animarle, e al tempo stesso (realisticamente) di guardare negli occhi una realtà cupa, la malattia che ci ha colpito».
La realtà è ci sono altri che sono pronti alla guerra e lo stanno dimostrando. La Cina con una programmazione strategica a lungo termine e avvolgente, la Russia in maniera più diretta e brutale, l'Iran per delega...
L'Occidente è molto meno pronto anche ai costi psicologici di questa situazione. Ed il suo dibattito politico è attraversato dall'antinomia guerra/pace, come se il futuro dipendesse unicamente dalle nostre decisioni e non dall'aggressività di altri attori. L'altra antinomia libertà/oppressione è invece uscita dai radar. C'è così tanta sfiducia nella politica che non si vedono i grandi pregi che la democrazia occidentale continua ad avere nonostante le sue magagne.
Secondo Capezzone, che cita una marea di esempi, di politica interna ed estera, questa denial strategy può portare solo verso il disastro. In pochi hanno la forza di ribadire quello che Margaret Thatcher spiegò con chiarezza già nel 1988: «Il nostro modo di vivere, la nostra visione e tutto ciò che speriamo di raggiungere sono garantiti non dalla giustezza della nostra causa ma dalla forza della nostra difesa».
Un pregio del libro di Capezzone è poi quello di mettere in luce anche l'indebolimento della democrazia prodotto all'interno dalla tentazione tecnocratica e da quelle élite che amano curarsi poco del voto popolare. Hanno generato grande disillusione sul meccanismo voto/consenso che è il carburante della democrazia. Insomma tifare per il campo occidentale non significa affatto essere acritici.
Il libro poi spazia nell'esplorazione di quasi ogni meandro della politica di oggi: il ruolo complesso e fallimentare dell'Onu, le comunicazioni multimediali e il ruolo anche politico che avrà l'intelligenza artificiale, le presidenziali americane che condizionano la politica planetaria, i retaggi anti occidentali e antisemiti di una certa
intellighenzia... Temi scomodi che fanno da filo rosso al più scomodo: chi è dalla parte della libertà deve aver il coraggio di schierarsi contro ogni dittatura. Per il proprio bene. E non ci si può girare dall'altra parte.
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