L'Occidente è la patria di ogni vera libertà

In un recente saggio Franco Cardini parla di deriva della nostra civiltà. Ma i suoi valori sono universali

L'Occidente è la patria di ogni vera libertà

La vittoria planetaria dell'Occidente ha diffuso in maniera impressionante la laicità di quella concezione del mondo che principia dall'illuminismo, fonte primaria dei caratteri fondamentali della modernità: razionalismo, diritti naturali, universalismo, unità del genere umano, individualismo; vale a dire quell'insieme riassumibile nel binomio secolarizzazione capitalismo, cioè la forza trainante del processo storico degli ultimi secoli. Ciò ha provocato una reazione di rigetto incontrollabile nei nemici della società aperta che si manifesta in una tendenza all'arroccamento nella propria identità; ha estremizzato il bisogno di un senso esistenziale religiosamente forte, unica diga per far fronte all'avanzata del moderno e alla sua invadenza laico-edonistica, costituita dall'intreccio indissolubile fra nichilismo e libertà. Negli ultimi decenni contro questa realtà si sono scagliate, a ondate successive, tutte le ventate reazionarie di rigetto ieri comunismo, fascismo, nazismo; oggi islamismo jihadista e forme di radicalismo di destra e di sinistra , volte a bloccare o a distruggere il dilagare laico del non senso prodotto da tale processo.

All'interno di questa tendenza storico-culturale va inserito il libro di Franco Cardini, uscito in questi giorni presso Laterza: La deriva dell'Occidente in cui l'autore nega il valore universale della cultura occidentale, contestando la tesi di Fukuyama, secondo cui il mondo ha un solo destino, il capitalismo. La guerra in Ucraina dimostra a suo avviso che la storia non è così univocamente determinata. Per Cardini l'Occidente ha espresso in realtà una volontà di potenza volta a egemonizzare l'intero globo terracqueo. La stessa teoria dei diritti umani altro non sarebbe che un'espressione di questa volontà. E con ciò siamo, come si vede, all'opposto di Max Weber, che si domandava: «per quale concatenamento di circostanze è avvenuto che proprio sul suolo occidentale, e qui soltanto, la civiltà si è espressa con manifestazioni, le quali si sono inserite in uno svolgimento, che ha valore e significato universale»?

Di qui l'obbligata constatazione che la possibilità della libertà e la sua esistenza storica si sono realizzate soltanto nell'Occidente perché la convivenza pluralistica dei valori, delle fedi e delle culture non è qualcosa di spontaneo, ma è una creazione soggetta a determinate coordinate spazio-temporali. Occorrono, cioè, specifiche visioni del mondo (il razionalismo), specifiche istituzioni economiche (il mercato) e, infine, specifiche istituzioni politiche (regimi a struttura liberal-democratica) perché le aspirazioni della libertà possano avere sviluppo e consolidamento effettivo. La libertà, in quanto creazione storica, non si rinviene in tutte le culture e in tutte le civiltà. Essa vive di un paradosso: la sua valenza è universale, ma la sua genesi e la sua determinazione sono particolari.

Dunque, è la libertà la vera e decisiva discriminante che distingue l'Occidente da ogni altra civiltà umana. Solo la libertà ha un valore universale, perché solo essa è l'unica realtà capace di valere per tutti. Come argomenta Edmund Husserl, non si può rinunciare alla libertà perché è la condizione imprescindibile della civiltà umana; questa libertà è autentica solo se è universale; non si può concepire una libertà universale, se non pensandola innanzitutto in senso filosofico; si può rintracciare l'universalità filosofica soltanto nell'unica cultura che l'ha generata e sviluppata: l'Europa. Husserl intreccia la dimensione della libertà con la dimensione della filosofia; un intreccio concepito come la vera e originaria identità spirituale europea. La libertà si incrocia con la filosofia esprimendosi come facoltà critica motivata dalla domanda del dubbio permanente. In tal modo la coscienza europea si legittima nell'autocritica.

Si deve dar conto del perché l'Europa esprima filosoficamente una realtà politico-culturale che ha iscritta in sé stessa la meta finale verso cui tende il divenire spirituale di tutta l'umanità: racchiude, infatti, il telos particolare delle singole nazioni e dei singoli popoli in una prospettiva infinita. È questo il suo destino.

Scrive infatti Husserl: l'idea teleologica della cultura europea mostra che l'Europa è in grado di determinarsi liberamente nell'autonoma ragione. Rispetto all'umanità, essa rappresenta la massima forma di sviluppo perché riassume in sé tutte le formazioni culturali e tutti i sistemi culturali che già sono sorti nel corso della storia.

Si deve pertanto attribuire alla cultura europea la posizione più elevata fra tutte le culture storiche. Husserl afferma la superiorità dell'Europa (e quindi per conseguenza dell'Occidente) su ogni altra civiltà proprio perché solo essa è originariamente filosofica e solo essa reca in sé l'universalismo, che consiste nella volontà di essere un'umanità fondata sulla ragione filosofica e sulla coscienza di non poterlo essere che così.

La sua umanizzazione è l'umanizzazione di tutte le umanità pregresse perché annuncia la manifestazione di un senso assoluto rientrante nel senso del mondo. La sua posizione eurocentrica eleva la sua stessa cultura a «lingua universale» come rimedio alle crisi di identità dell'umanità intera.

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