Ancora una volta tocca a Milano e alla Lombardia trainare la ripresa. Ne abbiamo dato conto ieri su queste pagine riferendo, cifre alla mano, i risultati di uno studio della Camera di Commercio. Dalle nostre parti, però abbiamo uno strano vezzo: oramai diamo per ovvio, scontato questo ruolo trainante dell'economia lombarda, come se fosse un segno del destino, un fatto naturale, un dono. Ma le cose non stanno così: perché nulla è scontato e per sempre e comunque è opportuna, talvolta, qualche riflessione su questa condizione «privilegiata» dei nostri territori. Non è così perché, semplicemente, potrebbe anche accadere il contrario. E cioè, che a pagare di più nei momenti di crisi siano proprio le aree più dinamiche e produttive, in quanto strutturalmente bisognose di un’economia in fase espansiva, di consumi in crescita di investimenti continui. È proprio quanto sta accadendo, ad esempio, nel Nord-est che, dopo un trentennio di espansione esplosiva, sta pagando la crisi molto più della Lombardia, addirittura con una recessione. Qui da noi, invece, sia l’andamento del 2010 sia le previsioni per l'anno appena iniziato per quanto riguarda produzione, esportazioni, occupazione e consumi, sono positivi e largamente superiori alla media nazionale. Così come l’indice di fiducia nel futuro delle imprese e dei consumatori, che in un certo senso è molto più significativo dei dati strettamente quantitativi.
Bene, ma questo vuol dire che Milano e la Lombardia hanno, ancora una volta, una responsabilità nazionale: devono cioè farsi carico di fare ripartire il Paese, fermo ormai da troppo tempo. Una responsabilità della quale spesso l’opinione pubblica milanese e lombarda, e a volte anche la classe dirigente, non sembra consapevole. A parte la retorica da bar Sport del tipo «tocca sempre a noi tirare la carretta», non si ha la sensazione che dietro questo vittimismo ci sia una autentica consapevolezza di una inevitabile funzione di leadership nazionale. Perché, se ci fosse, milanesi e lombardi, ricordando che responsabilità e leadership vanno sostenute e remunerate, sarebbero molto più esigenti nei confronti del potere centrale. Chiederebbero con maggiore energia nuovi investimenti e l’accelerazione di quelli promessi o in atto: a cominciare dall'Expo e dalle infrastrutture come la Brebemi, la Pedemontana, la Tangenziale est esterna, le linee 4 e 5 della metropolitana, la terza pista di Malpensa, il completamento del Passante ferroviario eccetera. «Roma ci mandi più soldi, semplifichi le procedure, sfoltisca la burocrazia. Insomma, ci faccia lavorare, e non solo nel nostro interesse ma del Paese tutto», questo chiederebbero. È sgradevole dirlo, ma tutti devono prendere atto che un euro a Milano rende molto di più, e per tutti, che altrove.
È ovvio che di questa responsabilità e di queste esigenze si devono fare carico per primi i poteri milanesi e lombardi. Non solo quelli politici ma anche i poteri economici. Non solo cioè i rappresentanti di questi territori in Parlamento e al governo, non solo le amministrazioni locali e la Regione, non solo, com’è ovvio, l'Assolombarda e l’Unione milanese del Commercio, ma anche i livelli nazionali delle organizzazioni imprenditoriali. È bene ricordare che ai vertici di Confindustria e Confcommercio ci sono la lombarda di Mantova Emma Marcegaglia e il milanesissimo Carlo Sangalli. E, guardando dall’altro lato della barricata, da qualche giorno anche alla testa del più forte sindacato italiano c’è una milanese, Susanna Camuso.
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