Longhi, grande maestro d'arte e letteratura

Una mostra illustra il rapporto tra il critico e allievi geniali come Bassani, Pasolini, Testori

Longhi, grande maestro d'arte e letteratura

È singolare che all'ombra del pensiero critico di Roberto Longhi siano cresciute grandi personalità della letteratura: Giorgio Bassani, Pier Paolo Pasolini, Giovanni Testori. A Ferrara Bassani era nato. Si può bene immaginare la sua emozione alle parole di Longhi su Masolino e Masaccio o su Caravaggio. Ancor più turbato dovette essere Pasolini, fino a identificarsi con il Caravaggio. Ed è commovente leggere in una lettera di Pasolini a Biagio Marin gli effetti di quella lezione sulle esistenze dei due scrittori: «ho tardato a risponderti perché Bassani mi ha portato con sé, con la sua macchina, a fare un delizioso giro per l'Italia centrale: Firenze, Arezzo, Assisi, Perugia, Todi, Spoleto... sulle orme di Giotto e di Piero... sono tornato più forte: spero di poter rimettermi al lavoro, ne ho assolutamente bisogno: se continuavo con l'impotenza di agosto mi sarei certamente ammalato. L'unico modo per riscattarsi è lavorare: altrimenti il nostro peccare non ha senso, è l'inferno in terra». Appare subito chiaro che per i due giovani l'arte è una espressione della vita, fortissima. Attraverso la viva creazione degli artisti.

Dopo gli approfondimenti di Cesare Garboli, questi intrecci di passioni e di idee sono studiati in questa occasione da Alessandro Gnocchi, Francesca Bini e Mirra Borazza. Un lavoro esemplare dove si incrociano sguardi e anime. La vita di Bassani e Pasolini aveva acquistato una dimensione diversa grazie alle interpretazioni di Longhi, capace di far vivere le immagini attraverso parole nuove. I due ragazzi, finita l'università, si ritrovano a Roma come si intende da una lettera di Pasolini a Bassani nel 1950: «Caro Bassani, ricorderai forse che noi due ci siamo conosciuti a Firenze, dove siamo stati insieme non più di un quarto d'ora. Adesso approfitto di quel nostro fulmineo incontro per chiederti se tu vuoi che ci incontriamo ancora, magari un po' più a lungo. Io sono sceso a Roma dal lontanissimo Friuli, e avrei veramente bisogno di qualche amico: Caproni, l'unico che conoscevo qui, si trova ora in una situazione grave (saprai forse che sua madre è morente) e non voglio essergli di peso con la mia presenza che, in fine, puzza sempre di letteratura. Sii sincero: se ti secca incamminarti per la strada sempre troppo piena di formule e di disagi di una nuova conoscenza, dimmelo; in caso contrario fammi sapere dove e quando ti posso trovare. Scusami tanto, caro Bassani, e ricevi i più cordiali saluti».

Il giovane maestro era quell'uomo originale descritto da Bassani: «Difficile immaginare un tipo più diverso dagli altri professori, anche fisicamente. Alto, simpatico, elegantissimo, con un viso dai tratti molto asimmetrici, di un'espressività eccezionale: più che a un professore, a uno studioso, Longhi faceva pensare a un pittore, a un attore, a un virtuoso d'alta razza e d'alta scuola, insomma a un artista (...) nessuna posa erudita, in lui, nessun sussiego di casta, nessuna boria didattica e didascalica, nessuna pretesa che non riguardasse l'intelligenza, la pura volontà di capire e far capire: e per questo, non per altro, ci si sentiva a un certo punto osservati dai suoi occhi nerissimi che lustravano, piccoli e malinconici come per febbre dietro il taglio spiovente del pince-nez e delle grandi palpebre brune (...). E se quello stesso sguardo che aveva frugato sardonico e affettuoso in te, ti arrestava, subito dopo, diventando a un tratto freddo, altero, e ristabilendo per così dire le giuste distanze, anche a questa operazione immediatamente successiva di distacco ci si acconciava volentieri, senza soffrire di delusioni di sorta, perché era ancora una volta l'intelligenza, l'oggettiva necessità del comprendere che così volevano».

Nella storia dell'arte i grandi pittori di provincia Filippo De Pisis e Mario Cavaglieri, amati da Longhi, saranno l'immaginario figurativo dei romanzi e dei racconti di Giorgio Bassani, in particolare Il giardino dei Finzi-Contini. Tutto è detto nel saggio di Gnocchi, con appassionata partecipazione. Per quello che mi riguarda io ho conosciuto, per parti separate, ciò che qui si racconta: ho vissuto a Ferrara nei luoghi descritti da Bassani che ho visto giocare a tennis con mio padre che ho frequentato a Roma ; a Ferrara ho incontrato Pasolini nella casa dell'Ariosto nel 1970. Sono stato borsista nella fondazione che fu la casa di Roberto Longhi, dove si muoveva ancora, solenne, Anna Banti. Nel 1978 ho conosciuto Giovanni Testori che ho accompagnato a Castelfranco Veneto sulle tracce di Giorgione. E ancora nel 1980, nella chiesa di santa Corona a Vicenza, a vedere i pittori che avevano lavorato per Andrea Palladio. Il mio rapporto con Longhi non passa però attraverso Bassani e Pasolini, ma attraverso un altro fortunato che stava negli stessi banchi all'università di Bologna: Francesco Arcangeli. E certamente Arcangeli (che sarebbe stato lo studioso più ricco e completo di una stirpe che non si è più riprodotta) in quella medesima aula ebbe una illuminazione, perché sentì d'essere il punto di arrivo di una coscienza densa di umori e, anche sotterranea, lontana da quella diversa coscienza che ha il suo fondamento nella psicoanalisi.

Iniziò così una lunga storia, non solo critica ma letteraria, umana, che avrebbe cambiato la storia dell'arte. Longhi era nato ad Alba, nelle stesse terre di Cesare Pavese e, oggi, di Carlo Petrini. Fra i suoi allievi, oltre ad Arcangeli, più carico e appassionato di tutti, anche Pier Paolo Pasolini, Giorgio Bassani, Attilio Bertolucci, Franco Giovannelli, i quali parteciparono all'impresa della fondazione della nuova cultura. A partire dalla storia dell'arte, ma come esperienza totale di vita. È stata, con questi principi e questi presidi, la più importante rivoluzione negli studi dopo i fondamenti di Vasari e di Luigi Lanzi, che avevano prestato la loro attenzione alle grandi scuole pittoriche e artistiche di Venezia, Firenze, Roma, trascurando proprio quella area padana entro la quale, con grande vitalità, Longhi si mosse.

Intanto indicando l'inizio e la fine: Wiligelmo a Modena tra XI e XII secolo e Giorgio Morandi a Bologna. Confini temporali di un'area geografica che andava dal Piemonte alla Romagna: la Padanìa appunto. Proprio Wiligelmo e Morandi furono due temi di approfondimento per Francesco Arcangeli. In qualche modo Longhi si mosse nella stessa direzione presa per la letteratura da Carlo Dionisotti e codificata nel saggio che andava oltre la visione nazionale delineata da Francesco de Sanctis: Geografia e storia della letteratura italiana. In questa logica si iscrivono anche gli sforzi di riappropriazione culturale delle lingue locali, con l'impegno di Pasolini rispetto alla lingua friulana, consacrata in lingua letteraria, come avevano fatto, con la lingua veneta Giacomo Noventa e, con quella romagnola, Tonino Guerra e Raffaello Baldini. La vasta area lombarda aveva avuto il suo poeta naturale (naturalmente dialettale) in lingua in Carlo Porta, anch'egli consacrato nella letteratura alta negli studi di un letterato longhiano, Dante Isella. Ed è proprio in quest'area nuova, in questo orgoglio delle identità delle radici, che si insinua anche la riabilitazione di Caravaggio, non più pittore criminale, ma grande pittore padano, il più grande forse, attraverso la nuova luce degli studi longhiani.

Ed è quando Longhi presenta Caravaggio in una mostra a Palazzo Reale a Milano nel 1951, che Testori inizia la sua lunga escursione nella pittura lombarda del Seicento. Lo stesso Arcangeli avrebbe integrato questo percorso critico con una nuova ed esaltante lettura dei pittori bolognesi del Seicento: fra Bologna e la Romagna, in particolare Annibale Ludovico Carracci, ma anche Pietro Faccini, Guido Cagnacci, Giuseppe Maria Crespi e altri, spesso commoventi, minori, e nello stesso spirito Denis Mahon si applicava a Guercino.

Parallelamente Cesare Gnudi consacrava queste riscoperte con grandi mostre organizzate, di concerto con l'università, dalla soprintendenza alle Belle arti.

La mostra di Ferrara, a cento anni dalla nascita di Pasolini e di Testori, perfeziona la conoscenza della loro opera, in rapporto con le indimenticabili illuminazioni di Roberto Longhi.

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