L'opera barocca diventa "Barock" e gli artisti si trasformano in imprenditori

Dalla Bartoli ai suoi eredi, che fondano orchestre e inventano spettacoli

L'opera barocca diventa "Barock" e gli artisti si trasformano in imprenditori

Quant'è fresca, briosa, fragrante l'opera barocca. Quant'è (ba)rock, quando ben fatta ovviamente. Il caso di Alcina di Haendel, vista a Firenze in ottobre, pensata dal regista Damiano Michieletto per e - conoscendone la tempra - «con» Cecilia Bartoli, fu il titolo di punta del Festival di Salisburgo 2019. Bartoli non si è presentata in due repliche fiorentine per un brutto raffreddore: Alcina salva in ogni caso, data la materia prima è di qualità, la squadra vincente di cantanti, in testa Carlo Vistoli ma anche Marie Lys in sostituzione della Bartoli, salita su un treno in corsa. Strepitosa l'orchestra, Les Musiciens du Prince guidati da Gianluca Capuano che dalla tavolozza di Haendel trae tutti i colori e umori possibili: tutt'uno con quanto accade sul palcoscenico, stessa pelle. Dalla regia di Michieletto cosa volere di meglio e di più. Sala piena e soprattutto bella presenza di giovani che si son bevuti, come fossero calici del miglior Franciacorta, le quattro ore, con due intervalli, di Alcina. Applausi a scena aperta per il seguito di arie di lamento, di ira funesta, di gioia, di sentimenti opposti ma non morbosi come vuole tanta opera d'Ottocento, all'ultima generazione piace la sfrontatezza del Settecento, un mondo antico che sapeva far la pace con le debolezze dell'essere umano.

Questa è l'opera barocca, l'abbiamo inventata noi, fu una start up fiorentina cui tra l'altro collaborò il papà di Galielo Galilei. Poi l'abbiamo dimenticata, l'Europa nordica l'ha rilanciata e finalmente ce ne siamo riappropriati.

Bartoli molto ha fatto per riabilitare un repertorio sminuito, da artista imprenditrice ha creato progetti esclusivi, anche al limite dell'azzardo. Il testimone è stato raccolto da una nuova generazione di artisti-imprenditori, dai profili ibridati, del resto non basta più in nessun campo professionale essere formidabili nella propria specializzazione, anche nell'arte questo è solo il punto di partenza.

Il pensiero va a Raffaele Pe, controtenore di carriera internazionale, che ha creato una sua orchestra, La lira di Orfeo, per progettare eventi e format che il vecchio (non necessariamente anagraficamente) management teatrale faticherebbe a concepire. Nella non proprio metropolitana Lodi s'è inventato la Orfeo Week, una settimana (20-27 novembre) di cultura senza barriere dove trovano posto il teatro di Andrée Ruth Shammah, le riflessioni sulla letteratura di Davide Rondoni, la danza, il violoncello controcorrente di Giovanni Sollima e via discorrendo.

E mentre alla Scala in ottobre si consumavano le repliche dell'opera Fedora, con il suo carico di passioni viscerali e

roboanti (tale anche l'orchestra), rimpiangevamo La Calisto di Cavalli, classe 1651, in scena esattamente un anno fa. Fu una ventata di freschezza. In tempi che già vivono di tormenti, meglio sarebbe non aggiungerne altri.

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